I PIU’ LETTI - Nonunodimeno: Il sistema di potere di C.L in Lombardia

Il sistema ciellino in Lombardia

di Giorgio Morale da LO STRANIERO

Canzoni e fumo

ed allegria

io ti ringrazio sconosciuta compagnia.

Non so nemmeno chi è stato a darmi un fiore

ma so che sento più caldo il mio cuor

so che sento più caldo il mio cuor.

Questa canzone piaceva ai ragazzi di Comunione e Liberazione (CL), che sul finire degli anni Ottanta la cantavano in apertura dei loro raduni. Era il pretesto per l’intervento di don Giussani, che metteva i puntini sulle i:

a chi ha sete non basta un succedaneo. La compagnia è un bisogno primario dell’uomo, ma tale bisogno non può essere soddisfatto da un’accozzaglia momentanea di sconosciuti ritrovatisi per caso in mezzo al fumo di un locale anonimo. La vera compagnia è la comunità cristiana: “E’ infatti all’interno di questa amicizia consapevole, di questo coinvolgimento esistenziale con la Presenza, la compagnia di Dio, che l’uomo acquista una personalità nuova” (L. Giussani, Alla ricerca del volto umano, Milano 1996, p. 181).

Piccoli ciellini crescono

Animata dalla “compagnia di Dio”, la comunità cristiana è già un’esperienza di liberazione, perché l’evento salvifico c’è già stato, si tratta solo di riconoscerlo. La comunità di CL è il luogo dell’unità, del riconoscimento e dell’esperienza di una vita nuova, pertanto essa è chiamata a esprimere un giudizio sulla società capitalistica ormai immemore delle sue origini e alienata da edonismo, consumismo, corruzione. In quanto esperienza di liberazione già in atto, essa è il vero soggetto politico anticapitalista non compromesso con il riduttivismo scientista e materialista di sindacati e movimenti politici di sinistra, epigoni di secoli di smarrimento e degrado della cultura occidentale: dal Rinascimento a oggi, passando attraverso l’Illuminismo.

Don Giussani citava i grandi autori della cultura della “crisi”, da Leopardi a Dostojevskij, da Kierkegaard a Kafka, da Huizinga a Pavese: tutti esprimevano un vuoto e una sete che la compagnia di CL arrivava a colmare. Una compagnia che offre amicizia e aiuto allo studio come più avanti offrirà lavoro e relazioni che contano.

Cresciuta e fortificata nel chiuso delle assemblee di riconoscimento e delle scuole di comunità, la “compagnia di Dio” deve rendersi conto che deve avere un carattere pubblico per sconfiggere il tentativo borghese di privatizzarla e portare alla società e alla stessa Chiesa il suo messaggio salvifico. Don Giussani non si capacitava quando nella prima metà degli anni Settanta vedeva i muri dell’Università Cattolica di Milano ricoperti di manifesti dei collettivi studenteschi di sinistra. Li indicava ai suoi ragazzi e li spronava: Voi non esistete, esistono solo loro. Per esistere dovete apparire, uscire dalle aule, conquistare gli spazi pubblici. Imparate da loro, fate come loro.

Difatti nel 1976 nasce il Movimento Popolare, (MP) che presenta suoi candidati nella DC che, per quanto compromessa col potere, offre più garanzie per le comuni radici cristiane. Nel 1986 CL tappezza la città di Milano di manifesti: Usciamo dalle catacombe. Nello stesso anno nasce la Compagnia delle Opere (CDO). Nella politica e negli affari i ragazzi di CL ormai cresciuti portano quanto appreso nelle scuole di comunità:

il senso forte dell’appartenenza e la svalutazione del “fuori” pluralista e relativista, la certezza dell’essere portatori esclusivi di un messaggio salvifico che autorizza a compiere azioni non soggette a valutazioni secondo il comune metro moralistico, l’obbedienza al superiore, obbedendo al quale, per “processo analogico”, si obbedisce a Dio. Agiscono quindi di concerto, con determinazione e spregiudicatezza, a fronte di un “fuori” sempre più disgregato.

Un’occupazione “militare”

Il Corriere della Sera scriveva già il 7/6/2005 che CL e CDO in Lombardia “determinano la quasi totalità delle scelte politiche e amministrative, di fronte a un peso elettorale che non raggiunge un decimo dei voti di Forza Italia”.

Le tappe di tale marcia sono state il successo elettorale ottenuto convogliando i voti su alcuni candidati che poi risultavano sicuramente eletti e l’occupazione che Enrico De Alessandri definisce “militare” di “tutti i centri di potere della Regione (dai Direttori Generali ai dirigenti delle Unità Organizzative nei più importanti Assessorati)” (E. De Alessandri, Comunione e Liberazione: assalto al potere in Lombardia, Lecce 2010).

Grazie alla conquista del “castello” – per restare nella metafora militare – i politici vicini a CL-CDO hanno potuto procedere all’insediamento di “piazzeforti” nominando loro uomini come Direttori Generali delle pubbliche Aziende Ospedaliere, primari di reparti importanti o membri di consigli di amministrazione

(emblematico il caso dell’occupazione ciellina dell’Ospedale Niguarda di Milano, a cui fanno seguito fra gli altri gli ospedali di Lecco, Mantova, Pavia, Monza, il Besta, l’Istituto dei Tumori, il Policlinico-Mangiagalli di Milano),

Amministratori Delegati e Presidenti delle società di trasporto (a esempio Ferrovie Nord Milano, Malpensa Express), Direttori Generali degli Enti e delle Agenzie regionali (Fiera Milano Congressi, Gestione Fiere, Fiera internazionale di Milano).

Ultima è arrivata l’edificazione di vere e proprie “cittadelle” con la trasformazione di strutture pubbliche in Fondazioni e la creazione di società a capitale pubblico della Regione Lombardia, le cui nomine sono saldamente in mano alla Presidenza della Regione: tra queste le più importanti sono Finlombarda Spa, Lombardia Informatica Spa, Infrastrutture Lombarde Spa.

Non si contano poi le spedizioni stagionali, come il finanziamento annuale per il meeting di Rimini per “promuovere l’immagine della Regione”, o come l’apertura di sedi di rappresentanza in innumerevoli Paesi, che ospitano sedi di Banca Intesa e della CDO; a cui bisogna aggiungere le sortite occasionali, come il caso “Oil for food”, e il finanziamento di singoli progetti.

Dal 1995 Roberto Formigoni in qualità di Presidente e Nicola Maria Sanese detto “il vicepresidente” come Segretario Generale della Regione Lombardia manovrano nomine che spesso vedono alternarsi gli stessi uomini a dirigere fiere, ospedali, banche, società di trasporto e di costruzioni, enti socio-assistenziali e formativi.

L’occupazione ciellina della Lombardia è diventata tale che non fu solo una provocazione la proposta di legge «Norme per le nomine e designazioni di competenza della Regione» del consigliere regionale dell’opposizione Carlo Monguzzi, secondo cui almeno il 25% delle nomine fossero riservate a non ciellini.

La compagnia diventa capitale sociale.

Il suo presidente Bernhard Scholz definisce la CDO “una rete, un’amicizia operativa dove le persone si aiutano attraverso scambi di informazioni, di know-how, di conoscenze per affrontare la quotidianità imprenditoriale”.

Uno dei suoi compiti più importanti “è l’accompagnamento delle imprese nel rapporto con le banche. Abbiamo convenzioni bancarie interessanti. Inoltre forniamo alle nostre imprese informazioni fiscali, legali e commerciali che permettono loro di lavorare meglio” (intervista pubblicata in F. Pinotti, La lobby di Dio, Milano 2010).

Così le Regioni governate da uomini di CL o con uomini di CL in posti chiave garantiscono favori a banche che garantiscono conti correnti e linee di credito a condizioni di favore ad associati CDO.

A Milano questa pratica è stata inaugurata sin dal 2003 con un accordo tra CDO e Banca Intesa, fautore l’attuale ministro Corrado Passera, già amministratore delegato di Banca Intesa e ospite abituale del meeting ciellino di Rimini, di cui la stessa BI è sponsor ufficiale.

Analoghe relazioni privilegiate e conseguenti accordi e convenzioni di favore oggi sussistono
- tra CDO e Unicredit,
- Monte dei Paschi,
- Banca Nazionale del Lavoro,
- Banca Popolare di Milano,
- Banco Popolare,
- Banca Regionale Europea,
- Cariparma e altre banche locali.

La CDO, con un bilancio che viene stimato in oltre 70 miliardi di euro, riunisce oggi oltre 36.000 società di cui circa il 50% in Lombardia. Forti presenze anche in Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Lazio, Sicilia e, all’estero, in 25 Paesi, tra cui Svizzera, USA, Canada, America Latina. Conta 36 sedi in Italia e 16 all’estero. In Lombardia la CDO ha più associati che l’Assolombarda e tre membri nel consiglio direttivo della Camera di commercio di Milano.

I due elementi, le relazioni e gli affari, convivono e si alimentano nella CDO diventando “sistema”. Essa si presenta come un’associazione volontaria di imprese legate da un insieme di relazioni privilegiate su cui costruire rapporti economici. La compagnia diventa così un capitale sociale, che lega in una rete stretta e intrecciata politici, amministratori, imprese, finanziarie, enti privati e a partecipazione pubblica, con il sostegno di media ed espressioni del mondo culturale e religioso. Non si vuole qui mettere in discussione il diritto di associazione, ma denunciarne la traduzione, che viene a determinare quello che si chiama traffico delle influenze, vietato dalle normative europee ma non contemplato in Italia, dove una legge anticorruzione che vorrebbe introdurlo subisce il veto del Pdl.

Essere membri della CDO assicura, dietro il pagamento di una quota associativa neppure molto esosa, facilitazioni nell’accesso a mercati importanti come quelli della sanità, del sociale e della formazione, procacciati da politici ciellini presenti nei posti chiave dell’amministrazione: bandi e appalti sono disegnati su misura per le imprese aderenti alla CDO. Si delinea quella situazione individuata da Etienne de La Boétie:

“a causa dei favori strappati ai tiranni si arriva a un punto ove quelli che traggono vantaggi dalla tirannide sono numerosi quasi come quelli che aspirano alla libertà”.

Dalla sussidiarietà al neopatrimonialismo

La parola chiave della cultura politico-economica della CDO è sussidiarietà, una “terza via” ciellina tra lo statalismo e il liberismo.

Lo Stato, criticato perché invadente e totalizzante oltreché eticamente neutrale, limita con il suo monopolio la libertà dei soggetti; inoltre la sua macchina burocratica è elefantiaca e corrotta, distante dal cittadino.

Sussidiarietà vuol dire che lo Stato deve garantire la libera iniziativa di soggetti privati assicurando ad essi sovvenzioni che permettano la realizzazione di opere che rispondano alla coscienza dei singoli e che siano in grado di garantire un servizio più tempestivo e più attento ai bisogni. Lo Stato continua a essere quello che paga, quello che cambia è che non importa che la funzione sia svolta dal privato o dal pubblico, importa l’efficienza e la qualità. Che la qualità del servizio offerto dal privato sia superiore viene assunto come un postulato che il cittadino non può sindacare: lo impedisce la stretta relazione – amicale e d’interesse – tra controllori e controllati, appartenenti alla stessa “compagnia”; anzi a volte le due funzioni convergono nella stessa persona.

Queste premesse danno il via libera a un processo di trasferimento di risorse pubbliche dallo Stato ai privati, determinando per alcuni soggetti rapidi arricchimenti non giustificati dallo svolgimento di una attività economica virtuosa ma dal godimento di condizioni di vantaggio acquisite conquistando i centri di potere e tendenti ad assumere posizioni di monopolio in tutti i settori della vita economica. Si può parlare di neo-patrimonialismo.

La destatalizzazione favorisce infatti forme di neopatrimonialismo associativo. In Lombardia in questa fattispecie rientrano quell’insieme di pratiche che rendono confusa la distinzione tra sfera privata e sfera pubblica. In altre parole, colui che in virtù di una carica pubblica detiene le chiavi della cassa ne fa un uso privato teso ad alimentare la sua rete clientelare. Chi descrive il neopatrimonialismo “classico” gli attribuisce queste caratteristiche essenziali:

1) l’assenza di distinzione tra dominio privato e pubblico. Sicché il “sovrano” amministra la cosa pubblica come fosse il suo ambito familiare (la CDO può essere considerata una famiglia allargata);

2) la coesistenza di due livelli di norme, private e pubbliche: le prime sono quelle reali e favoriscono il mantenimento, l’inclusione (o l’esclusione) nel sistema; le seconde sono dichiarate ed interiorizzate solo per rappresentare la legittimità delle pratiche di governo;

3) la personalizzazione del potere (nel nostro caso diventa una associazione ristretta del potere) e tramite questo l’appropriazione delle risorse.

Così si indebolisce la democrazia, poiché delegando a privati funzioni e servizi si creano canali di accesso a risorse pubbliche non controllate dalla pubblica amministrazione, o con un controllo formale non sostanziale o delegando funzioni inderogabili che i poteri pubblici non potrebbero alienare (coordinamento, controllo, garanzia dei livelli minimi di diritti sociali, equità, ecc).

Non è un caso l’opposizione del Pdl al varo di una legge anticorruzione, come non è un caso se nel 2009 il nuovo Statuto della Regione Lombardia ha depotenziato il ruolo del Consiglio Regionale.

In nome dell’efficienza la maggior parte delle nomine sono diventate o di pertinenza del Presidente della Regione o effettuate con decreti, senza passare per il Consiglio. Altro strumento per evitare controlli è stato la già citata trasformazione di tante strutture in Fondazioni, meno soggette a obblighi di controllo e rendicontazione.

La nuova corruzione

La debolezza della democrazia è allo stesso tempo una conseguenza ma anche una causa dell’allignare di tale sistema. E’ la debolezza dello Stato italiano sconvolto da Tangentopoli che non ha saputo dare una risposta propositiva alla corruzione, se non l’arretramento dello stesso Stato dalle sue posizioni a vantaggio dei privati. E’ l’indebolimento della forma partito come organizzazione della partecipazione politica che non ha saputo opporre motivazioni ideali alla deriva affaristica; è l’indebolimento del sindacato come organizzazione dei lavoratori che non è stata in grado di contrastare la precarizzazione del lavoro, largamente usato nelle imprese della CDO, in particolare quelle no profit.

E’ la debolezza della magistratura, che si è trovata impreparata, senza strumenti nei confronti di una forma di corruzione diversa da quella di Tangentopoli: non c’è più il traffico delle bustarelle da intercettare con appostamenti e telecamere, c’è un traffico immateriale di relazioni che costituiscono un sistema chiuso di potere, di cui si avvantaggia il sistema a spese della società intera. Ma nell’ambito di CL-CDO sono presenti anche casi come quello di Antonio Simone, uno dei fondatori di MP finito in manette nel 1994 e di nuovo nell’aprile 2012 per tangenti di vecchio tipo.

Ciò dimostra che la corruzione politica, di vecchio e nuovo tipo, non si è ridotta. Essa è uno scambio fra decisione politica e denaro che aumenta in rapporto all’ampiezza della discrezionalità delle scelte politiche o della mancanza di trasparenza e di controllo. Si sa il posto poco onorevole che si è meritato l’Italia nelle classifiche di Transparency International. La diffusione della corruzione deborda sicuramente la sfera politica, ma è a questo livello che si sono allentati i già deboli controlli e lo stato è venuto meno ai suoi imperativi di eguaglianza di trattamento di fronte alla legge (rule of law). Le leggi attuali forse possono intervenire, nel caso sussista la volontà di farlo, contro la corruzione di vecchio tipo, ma poco possono fare contro il traffico delle influenze e il neopatrimonialismo.

Un altro motivo di indebolimento della democrazia e di discriminazione è costituito dalla ideologizzazione del servizio, in particolare “per quanto riguarda l’istruzione, il controllo sulla procreazione e soprattutto sulle donne”, poiché “il controllo delle donne è l’argomento centrale di ogni fondamentalismo nel mondo, perché è l’asse di ogni richiamo tribale all’appartenenza” (Stefano Levi Della Torre, Laicità, grazie a Dio, Torino 2012). Esempio ne sono il contrasto della legge 194 sull’interruzione della gravidanza attraverso l’assunzione solo di medici obiettori e i finanziamenti ai consultori del Movimento per la Vita, oppure, nel campo dell’istruzione, il “buono scuola” congegnato in modo che a usufruirne siano non i più bisognosi ma coloro che frequentano una scuola privata.

Oppure, e questa è l’ultima trovata prevista dall’art. 8 della legge regionale lombarda “Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione” approvata il 3 aprile 2012, la “chiamata diretta” degli insegnanti da parte del dirigente scolastico, sulla base dell’adesione al progetto ideologico del singolo istituto.

Il welfare ritorna a essere esclusiva della Chiesa e dei privati, spesso quelli a loro volta legati alla Chiesa. Una Chiesa che, prima rinnovata dal Concilio Vaticano II e poi scossa dai movimenti di liberazione degli anni 60-70, prosegue la riconquista della società cominciata con Giovanni Paolo II e non vigila abbastanza per evitare degenerazioni affaristiche.

Si torna a una situazione precedente alle leggi Crispi del 1890. Anche dal punto di vista politico, tale progetto non ha incontrato ostacoli, dal momento che la storia italiana degli ultimi vent’anni ha visto l’occupazione del potere a opera della stessa parte politico-ideologica in ambito sia locale sia regionale sia nazionale: dalla Moratti a Formigoni a Berlusconi. E anche laddove la gestione della cosa pubblica non è stata dei politici ciellini, l’appoggio ciellino si è riversato tatticamente sull’apparente avversario, come in Provincia di Milano su Penati: in ogni ambito, grazie alle posizioni di forza conquistate, per la CDO è più facile dare – e ottenere – la complicità che subire il controllo.

E’ auspicabile che il sempre più frequente coinvolgimento di uomini di questo potere lombardo in inchieste giudiziarie possa contribuire a un giudizio non ideologico, se è vero che: “Voi li riconoscerete dunque dai loro frutti” (Mt, 7, 20).

19 giugno 2012 Giorgio Morale


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Data ultima modifica: 13 novembre 2016