I PIU’ LETTI: LOTTA ALL’ABBANDONO SCOLASTICO

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Intervista al Presidente dell’Associazione Nonunodimeno

Anche questa mattina sette milioni e 852 mila studenti si sono svegliati presto e sono andati a scuola. Tanti. Ma non tutti.

Perché ogni mattina, sulla stessa strada, dalla propria cameretta alla classe, si perdono quasi un milione e 400 mila studenti. Sono i “dispersi”, ragazzi di terza media o delle superiori che rinunciano a finire gli studi.

Per contrastare la fuga, e avvicinare l’Italia agli obiettivi europei (ancora lontani) le idee ci sarebbero. I fondi no. L’ultimo mini-scandalo è quello – ripreso da Repubblica – dei 15 milioni stanziati dal governo per contrastare l’abbandono scolastico, migliorare i risultati nei test Invalsi e diminuire le bocciature: soldi suddivisi fra le regioni in base a un calcolo che privilegerebbe la popolazione piuttosto che la gravità del fenomeno sul territorio (cosa che ha scatenato le polemiche), e che andranno a progetti presentati dagli istituti.

«Qualcosa di buono in quel bando c’è», sostiene Giansardo Barzaghi, fondatore e presidente di “ Non uno di meno ”, un’associazione milanese che da quattro anni lavora in prima fila per contrastare la dispersione scolastica: «Saranno valorizzate infatti le proposte che prevedono una collaborazione fra gli istituti e altri soggetti: università, organizzazioni non-profit, cooperative impegnate sull’argomento».

Ex docente (42 anni di lezioni alle spalle) ed ex assessore all’Istruzione della provincia di Milano, Barzaghi nel 2011 ha iniziato a organizzare corsi di recupero per i ragazzi delle superiori alla periferia di Milano. Costruendo, a poco a poco, un’esperienza che potrebbe "fare scuola" in tutta Italia. Con la sua associazione è arrivato a raccogliere l’adesione di oltre 70 volontari: professori in pensione come lui ma anche giovani ricercatori dell’Università Bocconi e studenti di quarta o quinta superiore con la media del nove che ora seguono le attività pomeridiane in tre istituti nel gallaratese.

«Non si tratta di veri e propri “corsi”», spiega: «Sono più che altri pomeriggi di studio: diamo ai ragazzi, divisi in piccoli gruppi, degli strumenti per rivedere, ripassare, e approfondire le materie in cui hanno difficoltà, con un approccio diverso da quello a cui sono abituati in classe».

Per tre ore, tre giorni a settimana, gli studenti più “scarsi” hanno qualcuno che si occupa di loro: «L’ostacolo principale è sempre l’autostima», racconta Barzaghi: «I loro 3 in matematica, i 4 in latino, le lacune in italiano o in inglese sono dovute soprattutto a un atteggiamento. Ripetono: “non sono capace”, “non posso farcela”, “è impossibile”.

Sono convinti di non essere intelligenti abbastanza». I docenti di “Non uno di meno” insegnano loro invece ad affrontarli, quei problemi insolubili, a scomporli, a tornare ai concetti chiave, ascoltando le loro domande e superando uno ad uno tutti i dubbi.

«Le attività danno risultati straordinari», racconta Barzaghi, orgoglioso: «Il 90 per cento degli adolescenti che partecipano alle nostre “scuole popolari” riesce a recuperare. Quattordicenni che erano pronti a dare forfait, incapaci di superare le insufficienze, si ritrovano con 7 e 8 in pagella. Sono persone che presto avrebbero potuto rinunciare al diploma, considerandolo “troppo” per loro, preferendo il lavoro, e invece continuano a studiare». Ad abbandonare i banchi per primi infatti sono i ragazzi con maggiori difficoltà, «e che magari a casa sono soli, o non hanno genitori in grado di dare loro una mano. Senza supporto si perdono. Ma per far loro riscoprire le capacità che hanno basta poco».

Le attività di “Non uno di meno” sono sempre gratuite. Aperte. E tenute da volontari. «Ma si svolgono a scuola, non altrove», insiste Barzaghi: «Perché è la scuola pubblica a dover crescere, a dover migliorare. Non cerchiamo meriti per noi stessi».

Insomma: i volontari ci sono, è vero, ma perché ora è una situazione di emergenza, con 177mila abbandoni solo in Lombardia. Quel compito - aiutare tutti a sviluppare le conoscenze necessarie per essere dei cittadini consapevoli - rientrerebbe nei doveri della scuola.

Se solo si potesse investire: «Quando insegnavo», ricorda l’ex professore: «L’Istituto pagava alcuni docenti per tenere delle classi di supporto allo studio, nel pomeriggio. Erano strumenti efficaci, utili, apprezzati da tutti. Ma poi con i tagli, continui, sempre più drastici, i prèsidi ormai non hanno nemmeno più i soldi per garantire gli stipendi ai supplenti, o per pagare i laboratori curricolari, spesso non arrivano a poter sostenere le fotocopie o la carta igienica in bagno. Figurarsi se spendono per impedire che gli studenti se ne vadano quando non riescono a stare al ritmo degli altri».

Così arrivano i volontari, ma non può bastare: «Perdere studenti, per la scuola pubblica, è una mancanza gravissima rispetto ai suoi obiettivi. Al suo dovere costituzionale», continua l’ex assessore. «Nel 1968 tenevo corsi serali agli operai della Breda a Sesto San Giovanni», racconta:

«Servivano loro per conquistare la licenza media. Avere un titolo, imparare veramente a contare, a comprendere i testi, a scrivere, era una conquista di cittadinanza, un diritto prezioso. Mi ricordo i loro occhi assonnati, la loro fatica a seguire le mie parole dopo ore di lavoro in fabbrica. Ma rimanevano. Oggi ci troviamo a fare sforzi simili per ragazzi che già sono seduti sui banchi, ma che sono soli e non possono recuperare. Ci ritroviamo insomma a portare le “scuole popolari” dentro gli istituti per dar loro una mano».

http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/02/17/news/convinciamo-i-ragazzi-a-restare-cosi-si-combatte-l-abbandono-1.153391

Francesca Sironi - L’Espresso 12 febbraio 2014

Le QUATTRO SCUOLE POPOLARI NONUNODIMENO

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Data ultima modifica: 3 dicembre 2018