VIVERE LA MONTAGNA SIGNIFICA RISPETTARLA

Rispettare la montagna è rispettare noi stessi. Vuol dire porci in salvo dai brontolii e dagli sbadigli che hanno la forza di spazzarci via. Se - come ho sentito dagli esperti - i terremoti sono imprevedibili, le valanghe te lo dicono dove scendono, in percorsi infilati da millenni. Ma quando imparerà l’uomo? L’errore che facciamo è credere che possiamo costruire perché lì da cento anni non viene giù niente. E ripetiamo all’infinito quell’errore, come costruire una casetta vicino a una riva d’un fiume o di un torrente perché lì è chissà da quando che non c’è un alluvione, un’esondazione.

C’è una montagna ripida, una valle che convoglia la neve e allo sbocco tu vai a costruire sperando che non venga giù. Incauta ingenuità. E vale per i corsi d’acqua, per qualsiasi evento della natura. Bisogna rassegnarsi, andarsene, non abitare più in quei luoghi. La valanga non si dice che lì non può più scendere. Diceva il poeta Fernando Pessoa: «La natura non si ricorda, perciò è bella». E il vescovo Berkeley: «La mela da sola non si può gustare». E noi siamo il palato che gusta la montagna. Vive senza di noi. Quando vivere la montagna diventa sfruttamento, anche per lucro, l’uomo la intralcia e qualcosa succede. Non è questione di vendetta, la montagna non la conosce, ma di ostacolo dell’uomo. La natura si sbarazza degli ostacoli senza bisogno di coscienza, se gli togli qualcosa accade una reazione.

Ho visto e sentito due cose che fanno male. Tirare a sorte le case per i terremotati e le linee elettriche che crollano sotto il peso della neve o colpite dagli alberi. Sappiamo che il terremoto torna? Certo che sì. Lo sappiamo da sempre. E allora perché non fare casette di legno adesso per il prossimo? Mille, duemila. Le mettiamo nei cellophane e poi le stocchiamo in un magazzino. All’occorrenza sono già pronte. Tirare a sorte? Cos’è, la differenza dei diritti? Soltanto qui succede. E i tralicci che cadono? Ma come, non cadono i grattacieli in Giappone con terremoti devastanti e cadono i tralicci? Sono posati sulla mota, sull’argilla? E com’è possibile che le linee elettriche possano essere colpite da alberi abbattuti da vento o neve? Occorre tenere puliti i percorsi.

La natura è anche violenta. Noi abbiamo coscienza, dovremmo avere memoria. E allora usiamole per prevenire. L’uomo è precipitato in un nichilismo che non concede futuro: è il «chi se ne frega, morto io, morti tutti».

Anche qui al mio paese, a Erto, hanno costruito su in alto, dove un tempo arrivava la valanga del Calderon. Si baciava con quella della montagna di fronte. Adesso non viene più da tempo. E’ stata dimenticata. E sono andati a costruire dov’era arrivata. Quando quell’antica valanga tornerà, spazzerà tutto e noi ci interrogheremo sui perché, faremo indagini. Chi decide che non torna più? Nei paese di montagna tutto dev’essere pronto, dagli spazzaneve agli uomini.

E lì in Abruzzo come mai hanno cominciato spazzare la neve quando ce n’era un metro? Bisogna farlo man mano, non aspettare. Per evitare questa malattia, bisogna conoscere. Sono anni che predico non ascoltato di mandare nelle scuole le guide alpine, i boscaioli, la gente che conosce la montagna. La valanga non si affida alle statistiche, ha una sola strada.

Saperlo è rispettare la natura e questo ci salverà.

Un articolo di Mauro Corona 22 01 2017 www.lastampa.it


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Data ultima modifica: 24 gennaio 2017