L’INTERVISTA: Aboubakar un cittadino, un sindacalista

Il suo nome è Aboubakar, è italo-ivoriano, e da ieri ci interroga per un verso, e ci offre un’indicazione dall’altro. Aboubakar era amico e compagno di lotte sindacali del ragazzo ucciso a fucilate in Calabria mentre recuperava materiale per un tetto. Il suo era un atto politico, per il riconoscimento di uno dei primi diritti civili dell’uomo, alla base anche dei principi religiosi che - se si vuole e se si è credenti - sono fondamento dell’insegnamento tracciato nel nostro Paese da Francesco, il santo.

Riepiloghiamo brevemente. Aboubakar, intervenuto a Propogandalive de La7, partendo dalla tragica fine del suo amico, in pochi minuti ( meno di 3 quelli del video che in tanti stiamo rivedendo in Rete ) fa un’analisi lucidissima dello stato delle cose nel nostro tempo. Un’analisi "di sinistra" che nel suo complesso questa nostra sinistra, uscita con le ossa rotte da una competizione elettorale disastrosa, non ha mai saputo fare. Che forse non è culturalmente in grado di fare.

Parla Aboubakar con tono pacato e chiaro, con il linguaggio limpido e profondo di chi le cose le racconta e le decodifica perché le conosce dall’interno, per vissuto. Lo riascolto e chissà perché penso ad un ciottolo del mare, che il mare ha reso morbido nelle linee, chiaro nell’aspetto ma fortissimo, indistruttibile. Le parole di Aboubakar entrano nella mente e nel cuore, sono sentimento, passione governata dalla ragione.

Inizia dicendo che i politici prima di decidere dovrebbero guardare le arance che sono a centro tavola dei loro incontri. Interrogarsi come e per chi sono arrivate nelle loro mani. Chi c’è dietro, quali regimi economici distorti regolano la filiera. Aggiungo io, prima di sbucciarla quella arancia devono sapere che raccolte in Italia da tanti come Aboubakar, "nascondono" quello che tutti sanno e che molti si rifiutano di riconoscere. Quelle arance - come tanti altri prodotti e servizi - sono il frutto amaro della schiavitù. E quando c’è un regime di schiavitù e si costruiscono muri con mattoni di diffidenza ( ricordate il film "La caccia"?) si fa presto a sentire un fucile che spara.

Aboubakar parla delle periferie, non solo delle baraccopoli dove lui ha vissuto e vive. Periferie e baraccopoli, letti di degenza politica per la sinistra. Quel che resta da fare ora per la sinistra non è la stupida e banale cooptazione di un giovane italiano dalla pelle scura perché "faccia colore". Così è stato in altre occasioni, diciamolo. Così ha fatto la stessa destra di Salvini e Di Maio ( si, destra ).

Quel che resta da fare, magari partendo dalle parole di Aboibakar è rivoltare come un calzino lo stesso Dna delle forze chiamate a costruire un’alternativa alla deriva. Nuove regole di selezione del personale politico, nuovi spazi politici, nuovi protagonisti, nuovi meccanismi di definizione dei programmi, orizzonti nuovi e vasti. Aboubakar con le sue parole semplici che ci riportano alla realtà della terra e della produzione, mi ha ricordato tanto mio figlio. Forse coetanei. L’uno e l’altro mai chiamati a costruire una nuova e viva sinistra, mai chiamati a dire la loro su un’Italia diversa che cambi, ma in meglio.

Un articolo di Onofrio Dispenza - Globalist.it 09 06 2018


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Data ultima modifica: 2 marzo 2020