EMERGENZA CULTURA

Caro ministro Bonisoli, è un po’ sconcertante – capirà – sentire il ministro della storia dell’arte dire, in una occasione ufficiale: «Anche io abolirei Storia dell’Arte. Al liceo era una pena».

Una battuta infelice può capitare a tutti: l’importante è scusarsi. E davvero un ministro della Repubblica che chieda scusa sarebbe una edificante novità.

Invece lei ha preferito scrivere, su facebook, di credere che «gli insegnanti di storia dell’arte (e quelli di chimica), a cui è sempre andata, sin dal liceo, la mia stima, siano dotati di senso dell’ironia per cui se vedranno il video capiranno che non ho neanche la necessità di scusarmi con loro».

Vede, signor ministro, il punto non è (solo) la sensibilità dei docenti di storia dell’arte delle scuole, che pure meriterebbero rispetto, gratitudine e amore per il lavoro titanico che fanno a mani nude. E, certo, lei ha ragione a lamentarsi del clamore suscitato dalla sua battuta a petto del silenzio che ha circondato la sua sacrosanta iniziativa (che, come sa, io condivido del tutto) di convocare e ascoltare tutti i soprintendenti, dopo la lunga parentesi di ostilità del suo predecessore.

Tuttavia, quel clamore e quel silenzio hanno la stessa radice: il diffuso disinteresse per il nostro patrimonio culturale, e per la storia dell’arte – quella vera. Così, finisce che c’è curiosità solo per qualche stranezza, qualche bizzaria, qualche numero da circo. Tipo un ministro per i Beni culturali che definisce «una pena» la storia dell’arte.

Tutto questo è precisamente il frutto di decenni di politiche contro la storia dell’arte: la cui presenza a scuola è stata progressivamente ridotta, in una umiliazione infinita. La Gelmini l’ha tolta dai Turistici (!), Franceschini aveva promesso che avrebbe convinto le sue colleghe della Scuola (Carrozza e Fedeli) a ripristinarla e anzi a farla insegnare nelle scuole di ogni ordine e grado. Ovviamente non ha mantenuto le promesse.

Così che è ancora valido ciò che Giulio Carlo Argan scrisse nel 1977: «La storia dell’arte è materia storica e la cosiddetta classe dirigente, che la scuola dovrebbe formare, ha più bisogno di coscienza storica, che di talenti creativi. Che l’attuale ne sia sprovveduta si vede dal modo con cui ha vergognosamente dilapidato il patrimonio artistico di cui ora, affinché seguiti a farne scempi senza scrupoli e rimorsi, si progetta di sopprimere lo studio.

Logico: nella sua filosofia la proprietà privata è sacra e inviolabile, ogni limite alla disponibilità dei beni posseduti offende il principio: la legge che tutela i beni culturali ne limita la disponibilità, dunque contraddice ai canoni primi del diritto. La borghesia vuole che i suoi figli seguitino come i padri a inquinare allegramente mari e fiumi, a speculare rapacemente sul suolo delle città e delle campagne, a esportare impunemente capolavori nel baule della fuoriserie. A questo la riduzione della storia dell’arte nella scuola secondaria serve egregiamente».

Le cose stanno ancora così: anzi, da allora sono peggiorate. Allora, di tutto abbiamo bisogno tranne che di un ministro del patrimonio culturale che – anche per scherzo – ostenti il suo disprezzo per la disciplina che può restituire ad ogni italiano «coscienza intera della propria nazione» (Roberto Longhi), cioè di sé.

Sarebbe bello ascoltare le sue scuse. Vorrebbe dire che forse qualcosa è cambiato. E che forse, chissà, si tornerà ad insegnare a tutti gli italiani del futuro la storia dell’arte.

Un saluto cordiale

Un articolo di Tomaso Montanari 18 09 2018


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Data ultima modifica: 18 ottobre 2018