La classe dei ripetenti "Non sarà un ghetto così li motiviamo"

Il progetto pilota voluto dal preside del liceo Rosmini di Trento: "Crediamo nei ragazzi. La scelta spettava alle famiglie che hanno aderito"

TRENTO — Alzi la mano chi non ricorda quel ragazzo imbronciato, l’unico scuro in volto fra tanti compagni sorridenti, seduto nell’ultimo banco con l’aria di sufficienza di uno che ci è già passato e l’espressione amara di chi — costretto a ripetere l’anno scolastico — si sente come di fronte a un semaforo rosso lungo dodici mesi. E invece no, al liceo delle scienze umane Rosmini di Trento gli studenti ripetenti del primo anno (guai a chiamarli "bocciati") li hanno messi in classe tutti assieme: «Arrivavano da altri licei della città — spiega il preside Stefano Kirchner — e la prospettiva era quella di inserirli in varie classi, due di qua e due di là, cercando un equilibrio tra maschi e femmine e tra i vari livelli di formazione, come si fa di solito. C’era l’ipotesi di creare iniziative di supporto individuali, poi ho pensato: e se li mettessimo tutti assieme?». Detto fatto, con il via libera dei genitori e di un gruppo di professori che — per un esperimento senza precedenti — si sono fatti avanti volontari. Sui criteri di formazione delle classi non esistono norme specifiche, così il dirigente scolastico ha agito in piena autonomia. È finita che nell’ultima fila di questa classe del Rosmini ora non c’è seduto proprio nessuno, anche perché i banchi sono disposti "a isole" dove tutti questi 23 ragazzi sono uguali e si lavora in gruppo assieme agli insegnanti.

Alcuni docenti avevano guardato l’iniziativa con una certa preoccupazione: «C’è il rischio che diventi una classe ghetto». Per questo il preside Kirchner — che prima di diventare capo d’istituto è stato docente di musica e per vari anni responsabile di progetti per ragazzi con difficoltà di apprendimento — si è mosso con prudenza:

«Ho fatto affidamento su alcuni insegnanti che si sono presi volontariamente la responsabilità di portare avanti questo progetto. Quindi, in vista dell’inizio dell’anno scolastico, ho chiamato i genitori e ho spiegato la nostra idea. Alla fine ho lasciato la scelta alle famiglie: chi non se la sente alzi la mano, per i vostri figli ci sarà posto in un’altra classe. Ma non si è alzata nessuna mano — racconta il preside — probabilmente perché hanno capito che su questa sfida, di questo si tratta, la scuola avrebbe messo il massimo impegno ».

I conti si tirano alla fine dell’anno scolastico, ma intanto la "classe dei bocciati" sembra partita con il piede giusto. «Qualcuno ha detto che ci piace vincere facile — spiega ancora Kirchner — perché abbiamo messo assieme insegnanti motivati (che hanno accettato anche di partecipare a riunioni di classe più frequenti) e studenti che, dopo un anno trascorso al primo anno di licei scientifici e classici, non sono certo alle prime armi. Pare scontato che questi ragazzi stavolta saranno promossi, ma l’idea era quella di farli rendere al meglio. L’alternativa? Sarebbero finiti a piccoli gruppi nelle altre classi, magari con qualche difficoltà di inserimento perché a quell’età 12 mesi in più rispetto agli altri possono fare la differenza». Una storia particolare, anche perché in Trentino (provincia autonoma) la scuola ha regole diverse da quelle nazionali e non sono previsti gli esami di riparazione a settembre (aboliti nel 1995) sostituiti da un sistema di debiti formativi. Una sorta di "linea morbida" basata sulla fiducia che rende ancora più amara la bocciatura.

Comunque, i giovani protagonisti di questa vicenda hanno capito subito che non sarebbe stato un anno scolastico normale quando hanno trascorso i primi giorni di scuola tutti assieme (studenti e insegnanti) in una malga di montagna. La loro storia è stata raccontata dal giornale Trentino e il clamore ha un po’ sorpreso i ragazzi che hanno replicato: «Non chiamateci bocciati, è proprio quest’etichetta che rischia di penalizzarci ». Bocciati, respinti o ripetenti poco importa: la scuola crede in questi studenti. Ora basta che ci credano anche loro e questa sarà una storia a lieto fine.

Un articolo di Andrea Selva - La Repubblica 05 10 2019

Data ultima modifica: 7 ottobre 2019