100 anni MARIO LODI

❤️❤️❤️ Ricordiamo Mario Lodi a cento anni dalla sua nascita

LA BELLEZZA DI NON COMANDARE

di Franco Lorenzoni

“Un giorno, osservando dalla finestra della mia aula, giù in cortile, i ragazzi che vivevano liberi, felici, feci un confronto con loro stessi qui, nei banchi in cui erano obbedienti, rassegnati, senza idee, mentre laggiù erano vivi e ricchi di fantasia. Da quel giorno io dissi basta al vecchio tipo di scuola, la scuola autoritaria dove io comandavo loro obbedivano, per incominciare un nuovo tipo di scuola in cui, liberando i ragazzi liberavo anche me, davo un senso alla mia vita, cessavo di farne in un certo senso dei piccoli schiavi… E poi la bellezza di non comandare, specialmente i bambini ai quali comandano tutti. Ecco, mi pare che tutto sia nato in quel giorno che guardai dalla finestra quei bambini liberi giocare…”

Così, con la semplicità diretta ed efficace con cui ha sempre scritto, Mario Lodi narra la sua conversione educativa, nata osservando il gioco spontaneo infantile.

Gli ultimi anni della sua lunga e intensa vita li ha dedicati a realizzare, insieme a Roberto Papetti, Hélène Stavro e Gioacchino Maviglia, “La scienza in altalena”, una mostra di giocattoli scientifici costruiti con materiali poveri e di recupero, curata dalla Casa delle arti e del gioco, che è il nome che ha voluto dare al luogo di incontri che ha creato a Piadena una volta andato in pensione.

“I giocattoli esposti in questa mostra - scrive nella presentazione - sono stati scelti per restituire ai bambini la possibilità e il piacere di scoprire, giocando, concetti scientifici e abilità tecniche ampliando così la loro cultura”.

C’è una ragione molto seria che ha portato Mario Lodi a fare del gioco l’alfa e l’omega della sua incessante opera educativa. La ragione è che nel gioco le bambine e bambini sono attivi, vivi e tutti interi, perché intrecciano corpo e mente, emozioni e ragionamenti, serietà di intenti e divertimenti scatenati, che troppo spesso la scuola separa.

Dei giochi della sua infanzia Lodi ha narrato in un bel libro intitolato “I bambini della cascina”, ed è evidente che la sua esperienza di giochi in campagna, vissuti tra le due guerre in un tempo di miseria e privazioni, abbiano lasciato il segno.

Ma ciò che ha fatto di Mario Lodi un grande maestro che ha ancora molto da insegnarci credo stia nella sua attitudine di non considerare mai i bambini che aveva in classe solo come scolari da inquadrare, ritenendo, al contrario, che i nostri allievi sono prima di tutto bambine e bambini con i loro impulsi, le loro intuizioni, il loro andare per strade impreviste che dovremmo avere la capacità di cogliere al volo, seguendoli.

“Quando c’è da lavorar con le mani, acqua e terra i ragazzi sono felici”, racconta Mario Lodi in un capitolo de “Il paese sbagliato” intitolato Domande alla natura. “Ma in questo caso non si tratta di giocare”, aggiunge. “Ci sono domande da porre alla natura e se vogliamo che essa ci risponda in modo preciso bisogna preparare ogni cosa per bene, con serietà”.

Preparare per bene e con serietà ogni incontro con vento e semi, anziani contadini e uccelli o amici lontani con cui si è in corrispondenza, è la musica di sottofondo che accompagna tutte le pagine di questo mirabile diario didattico.

Ciò che più colpisce sono tuttavia le mille variazioni di questo canto corale perché l’assunto morale che sta alla base della didattica che Mario Lodi mette a punto e sperimenta giorno dopo giorno nella sua classe sta nel desiderio di affinare l’ascolto, la sensibilità e l’intelligenza di ciascuno. E per raggiungere questa meta bisogna che lo si faccia con impegno sempre tutti assieme - bambine, bambini e maestro - mettendosi in gioco e credendo fino in fondo alla grande gioco dell’esplorazione del mondo, che cresce e si fa più avventurosa ogni giorno.

Ecco allora che, per arrivare a porre domande alla natura, si dedica un’intera mattina all’organizzazione del lavoro. Ciascuno ha un suo compito “e la complessa equipe si mette in moto”. La classe si riempie di vasi, semi, terriccio, innaffiatoio; tutti preparano su fogli a quadretti moduli su cui saranno disegnate le risposte per mezzo di grafici e numeri; si datano i fogli e inizia il verbale. “E’ pressappoco così, immagino, che nei centri spaziali si lancia e si segue un’astronave”, annota il maestro. “L’entusiasmo e l’attesa, qui, non è certo da meno”.

Fermiamoci un momento su queste parole perché contengono un importante indizio riguardo all’etica e alla visione politica che anima l’esperienza educativa di Mario Lodi.

Una classe elementare di un paese sperduto della bassa Padana, abitata da figli di contadini, artigiani, fattori e bifolchi può lavorare con lo stesso impegno, organizzazione, energia e tensione conoscitiva del più avanzato centro spaziale della più ricca potenza mondiale.

Mario Lodi ritiene che il vertice planetario della scienza, che in quegli anni sta mettendo a punto tecnologie capaci di varcare i confini del nostro pianeta e portare l’uomo sulla luna, “immagino lavori pressappoco come noi”.

Il maestro di Piadena è profondamente convinto, infatti, che la spinta alla conoscenza, il desiderio di indagare il mondo e comprendere un po’ di più le sue leggi riguardi tutte le età, non debba avere confini e non possa essere privilegio di pochi, ma apertura alla gioia dello scoprire che devono poter provare tutte e tutti. Da qui nasce l’iperbole che paragona la classe di Piadena a Cape Canaveral e germoglia quel pressappoco, meravigliosa espressione dell’idea di scienza e cultura che alimenta il fare quotidiano degli abitanti di quella classe che, dalla pianura Padana di qualche decennio fa, ha ancora tanto da insegnare a chi voglia mettersi in gioco nell’educare seguendo e alimentando ogni giorno curiosità e intuizioni di cui è ricca l’infanzia.

Articolo uscito su "La vita scolastica"

Data ultima modifica: 17 febbraio 2022