Quali strade ci trasformano mentre le percorriamo?
Quando è che ci capita di compiere un viaggio e di giungere alla meta diversi da come eravamo partiti?
Discutiamo intorno a queste domande durante un campo scuola a Cenci dedicato alle strade che ci cambiano e io annoto le risposte di bambine e bambini di una quinta primaria, come ho imparato a fare nel Movimento del Cooperazione Educativa da quando ho iniziato a insegnare.
Lucilla dice che ti trasformi quando attraversi un bosco in silenzio e senti tutto. Sergio afferma che cambi quando cadi. Beatrice sostiene che ogni viaggio è un po’ come una macchina del tempo: ti muovi nello spazio ma è il tempo che cambia. E’ a questo punto che Daniele interviene deciso, inseguendo un’intuizione forse inaspettata:
“Come in assemblea! Andiamo dentro e ci trasformiamo”.
La frase di Daniele mi colpisce perché la sua affermazione sposta il ragionamento: non è la strada, il viaggio, lo spostamento fisico che ci trasforma, quanto il mondo della parola, il confronto tra opinioni diverse, il decidere dopo essersi ascoltati e confrontati.
Parlo con la sua bravissima maestra e lei mi racconta che in quella classe l’assemblea è un rito democratico che si compie ogni settimana da quando erano in seconda, che guai a saltarne una, e che per Daniele è stato davvero un luogo dove negli anni ha operato una grande trasformazione nella sua relazione con gli altri e con se stesso perché lui, quando arrivò a scuola in prima, viveva in un mondo tutto suo spesso inaccessibile agli altri.
Non è facile imparare ad ascoltarsi, non è facile decidere dopo avere discusso tra pari superando le inevitabili frustrazioni dovute al fatto che le proprie proposte a volte non sono accolte dal gruppo. Ancor più difficile è per chi insegna cedere potere all’assemblea, riconoscendole davvero potere deliberativo e non soltanto consultivo, rispetto alle tante piccole scelte che danno forma all’organizzazione del lavoro in classe, configurando quale tipo di convivenza si costruisca giorno dopo giorno.
Eppure non c’è altra strada. La democrazia si impara con la democrazia, come l’andare in bicicletta.
Nessuna educazione civica, nessun incontro con la Costituzione è credibile se non si offrono occasioni per sperimentare momenti reali di democrazia, con tutte le fatiche e il tempo necessario che comporta.
Certo, la legge 92 del 20 agosto del 2019 è arrivata nel momento peggiore perché i tre anni previsti per sperimentarne modalità ed efficacia sono stati i più infelici. Per imparare ad ascoltarsi e praticare l’arte del conversare bambine e bambini hanno infatti bisogno di confrontare le loro idee disponendosi in uno spazio dove sia possibile guardarsi negli occhi e intendere il senso di proposte e soluzioni ascoltando anche gli umori e i toni della voce.
Non c’è allenamento alla democrazia senza corpo e presenza e le posizioni reciproche hanno parte rilevante in ogni genere di assemblea. Non è certo per caso che quel rito sia nato all’aperto, nell’agorà che era al centro della città, e che riprenda corpo in istituzioni che in ogni latitudine hanno sposato la forma dell’emiciclo.
Una volta liberati dalle costrizioni necessarie a contrastare la pandemia, sarebbe allora davvero importante e particolarmente significativo che la ripresa del libero circolare negli spazi della scuola sia accompagnata, fin dalle prime classi della scuola primaria, dal rito e dalla pratica dell’assemblea di classe come appuntamento regolare e momento decisionale collettivo. Ma per accompagnare e allenarsi a questa necessaria presa di parola dobbiamo dare la possibilità a tutte le bambine e bambini di esprimersi e ragionare nel corso di laboratori che accompagnino processi di apprendimento di tutte le discipline.
Il dialogo e il porci continuamente domande sulle fasi della luna o il perché dei verbi, sul parallelismo delle ombre o le tecniche di scavo dei lombrichi è il primo terreno in cui il confronto tra le voci e le ipotesi di tutti diventa luogo di costruzione di conoscenza. E’ in questa pratica costante di elaborazione collettiva che acquista dignità il pensiero di ciascuna e ciascuno e che si creano le premesse per partecipare attivamente all’assemblea di classe, primo luogo di democrazia vissuta e partecipata.
In un laboratorio sulla classe cooperativa tenuto la scorsa primavera da Roberta Passoni e Marco Pollano a Cenci, in occasione di tre giornate dedicate all’attualità di Mario Lodi, c’è stato un momento dedicato alle “soluzioni inaspettate” proposte da studentesse e studenti.
E’ stato assai interessante ascoltare quante soluzioni possano sorgere quando si dà ai più piccoli il potere di proporre e di decidere. Soluzioni che a noi spesso non sarebbero mai venute in mente perché la democrazia è lenta e faticosa, ma assai più efficace e intelligente di un unico al comando.
Gherardo Colombo, l’ex magistrato che si spende con acutezza nella difficile opera di ragionare ed elaborare proposte sull’intreccio tra educazione, regole e convivenza democratica, ricorda sempre che “attraverso la minaccia si può ottenere l’ubbidienza, ma l’ubbidienza è il contrario della democrazia”.
Trentatre ore sono davvero poche per l’enorme gamma di questione evocate dalla legge sull’educazione civica, ma se percorriamo con coerenza l’idea che la democrazia presupponga il dialogo e che la pratica del confronto continuo tra ipotesi e idee diverse stia alla base dell’apprendimento cooperativo, allora potremmo davvero progettare un fare scuola in cui la democrazia sia al tempo stesso fine e mezzo per allargare i nostri orizzonti e affrontare la sfida più grande del nuovo millennio, che riguarda il convivere tra diversi ripudiando la guerra e ogni forma di discriminazione.
Questo articolo è pubblicato nell’attuale numero de “La vita scolastica” cartacea e on-line, il mensile della Giunti dedicato alla scuola primaria a cui ci si può abbonare.
Un articolo di Franco Lorenzoni Maestro elementare per 40 anni