SULLE BUONE MANIERE (a casa e a scuola)

Siamo sinceri: parlare di buone maniere oggi ha un che di retrò, di arretrato, qualcosa di confinato in altri tempi, coperto dalla polvere della formalità. Non è un caso che le buone maniere per secoli siano state una prerogativa dei ceti aristocratici e borghesi. Con questo termine si indica di solito l’insieme di quelle regole che definiscono le norme di comportamento da tener quando ci si relaziona con gli altri e nelle diverse situazioni sociali. L’acquisizione delle buone maniere richiedeva nelle classi aristocratiche un lungo tirocinio in quanto ogni situazione sociale aveva sue regole precise di comportamento (a tavola, in strada, nei luoghi pubblici ecc.) e forme rituali di interazione con gli altri. Monsignor Giovanni della Casa nel Cinquecento vi dedicò un manuale (Il Galateo) che per secoli è stato il punto di riferimento nell’educazione delle buone maniere da parte dei rampolli delle classi aristocratiche.

Genitori o amici?

È difficile oggi per i bambini e per i giovani avere dei riferimenti che li inducano ad adottare “buone maniere”. Se pensiamo alla famiglia, ad esempio, non è infrequente trovare modelli educativi sempre più caratterizzati da simmetria nei rapporti tra genitori e figli, ossia rapporti quasi alla pari. Gran parte del linguaggio, talvolta sguaiato, che i bambini portano a scuola è quasi sempre un patrimonio comunicativo che acquisiscono in famiglia (e che poi “perfezionano” fuori dalla famiglia). Sempre più spesso i giovani genitori utilizzano con i propri figli un linguaggio molto libero e “colorito”, come se parlassero appunto con coetanei. In tale contesto non vi sono più quei filtri generazionali che vigevano fino a pochi decenni fa. Il “mettersi all’altezza del bambino” (per usare un’espressione montessoriana pregna di profondi significati psico-educativi) oggi significa in realtà adottare registri comunicativi dove non si coglie la differenza tra adulti e bambini. La voglia (bisogno?) di essere riconosciuti “amici” da parte dei propri figli porta a superare quelle barriere che una volta fungevano da contenimento nei confronti dei bambini e indicavano una linea di conquista evolutiva.

Questo modello lo troviamo spesso trasferito a scuola quando docenti troppo accondiscendenti o preoccupati di “piacere” ai bambini si mettono al loro livello, non nel senso di interpretare empaticamente il loro vissuto o il loro stile comunicativo, ma nel senso di infantilizzare il loro comportamento. Tanto per fare un esempio tratto dalla nostra esperienza professionale: ci sta che uno studente mandi a quel paese un docente (ci sta nel senso che può succedere, non nel senso che sia ammissibile); è assolutamente fuori luogo che il docente risponda a sua volta mandando a quel paese l’allievo. La comunicazione (e il comportamento) non può mai essere simmetrica nella relazione educativa. L’adulto assume comunque (o dovrebbe assumere) un ruolo di modello educativo, che non significa essere un superman, ma che non può abbandonare le sue prerogative e responsabilità educative, che si traducono in forme di linguaggio più evolute e adeguate rispetto a quelle del giovane. In fondo i bambini, come i giovani, non cercano degli amici negli adulti (ne hanno già a sufficienza intorno a loro), ma delle persone competenti, responsabili, accoglienti e contenitive.

I docenti e le “buone maniere”

In questo senso nel contesto scolastico i docenti dovrebbero essere l’incarnazione delle “buone maniere”, ossia persone-professionisti in grado di agire in maniera adeguata nelle diverse occasioni relazionali e comunicative. In fondo l’insieme delle buone maniere è un repertorio di piccoli atti che nella loro globalità marcano fortemente il processo di umanizzazione dell’uomo e del suo piccolo. Il salutarsi, la cortesia, l’affabilità, il chiedere scusa, il ringraziare, il contegno, il guardare negli occhi l’interlocutore quando si parla, l’aiutare l’altro sono tante piccole azioni che esprimono il senso di rispetto verso gli altri. Sono comportamenti che i bambini possono acquisire con una certa facilità se trovano un contesto relazionale contrassegnato da tali comportamenti. Di solito i fondamenti delle buone maniere vengono appresi in famiglia, ma la scuola può dare un contributo fondamentale nell’apprendimento di abitudini di questo tipo ai bambini. Oggi sembra diventato difficile dedicare tempo a queste forme di apprendimento, in quanto si è troppo presi a trasmettere quelle conoscenze e abilità ritenute più significative e più legate alla missione istituzionale della scuola. Molti docenti sono ancora convinti che la scuola si debba interessare dell’istruzione, non certo dell’educazione, dimenticando che il processo di apprendimento è prima di tutto un processo di natura relazionale.

La scuola non può rinunciare

È difficile immaginare un contesto che educhi alle buone maniere se il contesto stesso non si ispira ai principi delle buone maniere. Docenti che non salutano o non interloquiscono in maniera garbata con i bambini o non intervengono in caso di comportamenti denigratori di un bambino su un altro difficilmente possono sperare di far nascere o di consolidare nei bambini le buone abitudini. Dicevamo in apertura che i messaggi che i bambini recepiscono nella vita sociale non sono certo connotati da buone maniere. Molti talk show sembrano un concentrato di bad manners, per non parlare di certi comportamenti tenuti da non pochi politici in situazioni ufficiali; ma se la scuola dovesse rinunciare a un progetto di cura delle buone maniere, allora il processo di apprendimento diventerebbe un’arida e tecnicistica acquisizione di contenuti. C’è bisogno invece di coltivare l’immaginazione simpatetica, come dice Martha Nussbaum nel suo testo Non per profitto, ossia la capacità di immedesimarsi nella posizione degli altri per diventare cittadini capaci di pensarsi al di fuori del loro circolo ristretto e assumere le posizioni di gente diversa da loro. Le buone maniere rappresentano il presupposto indispensabile per raggiungere questo obiettivo.

di Mario Maviglia- Giunti Scuola

http://www.giuntiscuola.it/lavitascolastica/magazine/opinioni/speaker-s-corner/sulle-buone-maniere-del-dirigente-scolastico/

Data ultima modifica: 8 maggio 2017