SANITA’: "Non è più per tutti ma per chi se lo può permettere.uscire da logica della salute come merce"

L’anno scorso 13 milioni di italiani hanno avuto difficoltà a pagare di tasca propria prestazioni sanitarie che non sono riusciti ad avere nel servizio pubblico soprattutto a causa di lunghe liste di attesa, quasi otto milioni hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi per curarsi, quasi due milioni di italiani sono entrati nell’area della povertà a causa di spese sanitarie private.

Ma ci sono anche quelli che non riescono a curarsi perché non possono permetterselo: sono più di 12 milioni gli italiani che l’anno scorso hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per motivi economici, un milione 200 mila in più rispetto all’anno precedente. È quanto emerge dal 7° Rapporto di Censis e Rbm Assicurazione Salute, intitolato “La sanità italiana al tempo dell’universalismo selettivo” e presentato a Roma nel corso del «Welfare Day 2017».

Più invecchi, più spendi

«Ammonta a 35 miliardi la spesa privata degli italiani per avere prestazioni sanitarie, compreso il pagamento dei ticket, con un aumento del 4,2% tra il 2013 e il 2016 – spiega uno dei curatori della ricerca, Francesco Maietta, responsabile dell’area politiche sociali del Censis – .

Per gli italiani è la nuova normalità pagare per la sanità: non solo i benestanti pagano per avere prestazioni sanitarie ma anche il 64% di persone a basso reddito, il 76% sono malati cronici». Più si ha bisogno di sanità più si spende di tasca propria. Fatta 100 la spesa sanitaria privata pro-capite degli italiani, per un malato cronico si arriva a 121, per un anziano a 146, per una persona non autosufficiente a 212. E aumentano le disuguaglianze sociali. «13 milioni di persone hanno dovuto ridistribuire i consumi per far fronte alle spese sanitarie – sottolinea Maietta –. La spesa sanitaria privata pesa di più su chi ha meno (oltre il 74% di persone a basso reddito), su chi vive in territori più disagiati (53,8% dei cittadini meridionali rispetto al 22% di quelli settentrionali), su chi ha più bisogno della sanità per curarsi (il 51% delle famiglie ha una persona non autosufficiente in casa)».

Liste di attesa sempre più lunghe

Ma perché gli italiani si rivolgono al privato pagando di tasca propria? Secondo il Rapporto, soprattutto perché l’attesa per le prestazioni sanitarie nel servizio pubblico è troppo lunga e spesso richiede anche l’esborso del ticket. Per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni, ma al Centro si arriva a 109 giorni. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni, al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni e sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni e ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica l’attesa media è di 66 giorni con un picco di 77 giorni al Sud.

Non hai i soldi? Non ti curi

Il miracoloso recupero di sostenibilità finanziaria del Servizio sanitario di tante Regioni non è stato indolore, sottolinea il Rapporto del Censis: alla minore copertura pubblica fa da contraltare il più alto ricorso alla sanità pagata di tasca propria. E a chi non ce la fa economicamente non resta che la rinuncia o il rinvio delle prestazioni. «La spesa sanitaria pubblica si riduce rispetto al passato e rispetto agli altri Paesi e l’area della «sanità negata» si espande – afferma Maietta – . Sale a 12,2 milioni il numero di persone che nell’ultimo anno hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per ragioni economiche: oltre un milione 200 mila persone in più rispetto all’anno precedente».

Disuguaglianze sociali ma anche territoriali

Il Rapporto evidenzia le crescenti disparità nelle opportunità di cura dei cittadini, con i cittadini meridionali ancora una volta più penalizzati. Se a dichiararsi soddisfatto del Servizio sanitario pubblico è circa l’80% dei cittadini del Nord-Est si scende al 47% tra i residenti al Sud. Ed è nel Meridione la percentuale più alta di cittadini convinti che nell’ultimo anno il Servizio sanitario sia peggiorato nella propria regione, circa il 40% rispetto al 25% dei cittadini del Nord.

Universalismo di facciata?

«Il Rapporto evidenzia che più di un italiano su quattro non sa come far fronte alle spese necessarie per curarsi e subisce danni economici per pagare di tasca propria le spese sanitarie, ormai l’universalismo sanitario è di facciata - sostiene Marco Vecchietti, consigliere delegato di Rbm Assicurazione Salute -. Per rendere il Servizio sanitario nazionale più sostenibile più equo e veramente inclusivo – propone Vecchietti - bisognerebbe affiancargli un secondo pilastro sanitario integrativo, puntando su un modello di assicurazione sociale integrativa alla francese che garantirebbe finanziamenti aggiuntivi per oltre 21 miliardi di euro all’anno, attraverso i quali integrare il Fondo sanitario nazionale».

Un articolo di Maria Giovanna Faiella 07 06 2017 Corriere della Sera

Un articolo di Roberto Ciccarelli - 08 06 2017 Il Manifesto

https://ilmanifesto.it/la-sanita-non-e-per-tutti-12-milioni-rinunciano-alle-cure/


Art. 32 della Costituzione Italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”

Dopo che il Governo ha tagliato, per il 2017, ben 422 milioni al Fondo Sanitario Nazionale, ieri il Rapporto Censis- RBM presentato al “Welfare Day 2017” mette in evidenza che il nostro SSN rischia il collasso e che 12,2 milioni di persone “rinunciano alle cure, di questi 2/3 hanno patologie croniche, sono persone a basso reddito, ed in particolare sono donne e non autosufficienti, 7,8 milioni di persone hanno utilizzato tutti i propri risparmi o si sono indebitati e 1,8 milioni di persone sono scivolati nell’area della povertà.

Non si tratta di numeri, ma di persone! E’ lo specchio sociale del Paese! La sanità non è più per tutti ma per chi se la può permettere. Questo il quadro presentato ieri da Censis-Rbm Assicurazione Salute, un quadro che corrisponde alla realtà che ben conosciamo: un vero e proprio “popolo di espulsi” dal Servizio Sanitario Nazionale.

E’ vero però, e a questo ci opporremo, che RBM nel VII rapporto, sostanzialmente lancia una proposta di uscita dall’universalismo e invoca una sanità differenziata per censo. Infatti si fa riferimento ai francesi e ai tedeschi che hanno quasi il 100% di assicurazioni integrative per via contrattuale e non solo. Si indica una soluzione per far fronte alla spesa sanitaria che aumenta, un sistema “multipilastro” che sia composto da pubblico, privato e sanità integrativa.

Riteniamo che questa sia la via per uscire dal principio della salute come valore universale, in questo senso siamo molto preoccupati della via contrattuale alla sanità integrativa, che se è utile a dare maggiori prestazioni ai lavoratori e alle lavoratrici, è vero altrettanto che può, come si vede da questo rapporto, essere utilizzato per smontare il principio universalistico del nostro Sistema Sanitario Nazionale, o quel che ne rimane.

Insomma la “cura” proposta non ci convince per niente, l’Italia risulta nell’ambito dei 34 Paesi dell’OCSE, all’ultimo posto per le spese sulla prevenzione e, senza fondamentali investimenti verso la prevenzione, il SSN diverrà sempre meno sostenibile e se ne perderanno quei benefici che l’hanno caratterizzato. Uscire quindi dalla logica della salute come merce e ritornare alla stagione della più importante riforma sanitaria la legge 833 che puntava su: prevenzione, diagnosi e cura.

Un articolo di Rosa Rinaldi - 07 06 2047

http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=29455


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Data ultima modifica: 16 giugno 2017