Libri di scuola, vendite colossali e critiche a non finire: chi ci capisce è bravo

MILANO.

Lo scrittore italiano più venduto non è Camilleri e neppure Saviano. È Massimo Bergamini, un ex professore di matematica alle Magistrali che nel 1997 pubblicò per Zanichelli il suo primo libro di matematica per le scuole superiori.

Vent’anni dopo i suoi manuali – firmati con la moglie Graziella Barozzi – hanno venduto più o meno sette milioni di copie. «Abitiamo appena fuori Modena, a Cognento» dice Bergamini. «Lavoriamo in casa 365 giorni all’anno perché i libri hanno sempre bisogno di migliorie. A ogni edizione lavorano quaranta collaboratori, lo sa?». Le nuove edizioni sono la ragione principale delle critiche che puntualmente vengono mosse all’editoria scolastica. Una furia di cambiamento che contrasta con l’apparente immobilità della scuola italiana. «Lei ha l’idea che avevo anche io all’inizio: una volta fatto il libro, sono a posto. Invece la verità è che si migliora solo cambiando».

Il Bergamini non è l’unico bestseller scolastico italiano. Tra quelli leggendari ci sono anche la letteratura italiana di Guido Baldi e la filosofia di Abbagnano, entrambi del gruppo Pearson, l’Amaldi di fisica, sempre Zanichelli, e più di recente le letterature di Claudio Giunta, DeAgostini, e di Carnero-Iannaccone, pubblicato l’anno scorso da Giunti (di cui Iannaccone con Mauro Novelli sta preparando l’antologia). La ragione di questi numeri si deve alle caratteristiche uniche di un mercato enorme che moltiplica le copie per gli studenti e per tutti gli anni di corso.

Nelle scuole italiane, materne escluse, ci sono 6.861.718 studenti, 326.599 classi e 817.291 insegnanti. Sono loro a scegliere i libri, ed è l’unico caso, insieme a quello dei medici, in cui non è chi compra a decidere che cosa comprare.

In Italia l’adozione dei libri di testo non è centralizzata, a differenza che negli Usa, ma dipende dai singoli docenti che sono il perno del business dei libri di scuola. La libertà di insegnamento, però, ha un costo, anche per le case editrici che per funzionare devono costruire un rapporto capillare con le scuole attraverso la promozione. Per dare un’idea: su 240 persone assunte da Zanichelli – l’unico editore scolastico con una rete interna – i promotori sono un centinaio, a fronte di solo quaranta “editoriali”, e gli altri cento sono nei servizi, magazzini o amministrazione. L’editoria scolastica è un’industria che vale, nel suo complesso, un quarto del mercato dei libri, circa 600 milioni di euro annui di fatturato contro i quasi 3 del mercato totale (come la Barilla), a cui se ne aggiungono altri 300 circa dei libri per le scuole primarie che però, di fatto, sono finanziati dallo Stato e seguono regole a parte.

Dopo la fusione, Mondadori-Rizzoli è diventato il primo editore superando di poco Zanichelli. Seguono Pearson e DeAgostini. Ogni gruppo al suo interno ha diverse sigle, anche famose: Zanichelli, che appartiene alla famiglia Enriques di Bologna, possiede D’Anna, Zingarelli, il Ragazzini, il Castiglioni; Pearson ha Paravia e Bruno Mondadori; DeAgostini Garzanti scuola. È un continente vasto ma quasi sconosciuto, anche per volontà degli editori che hanno interesse a mantenere un basso profilo per non alimentare polemiche. Il continente diventa ancora più grande, e sconosciuto, se si considera l’usato, che vale un ulteriore 25 per cento rispetto al mercato delle novità, circa 150 milioni annui per chi rivende (e 300 di perdite per chi produce).

Anche quest’anno davanti al Libraccio – la più grande catena italiana di libri usati con 44 librerie in 7 regioni – c’è una folla di studenti e genitori sudati e sbuffanti in attesa di essere chiamati dai ragazzi che fanno avanti e indietro dal banco al magazzino carichi di libri di scuola. È un rituale supplizio estivo che si svolge da giugno a settembre, quasi sempre nei giorni di caldo africano, e che ogni anno risveglia le proteste contro il caro-libri di associazioni di studenti e consumatori.

In realtà negli ultimi dieci anni, nonostante l’obbligo di edizioni digitali che secondo il Ministero non costano, i tetti di spesa per i libri delle medie adottati dopo il 2014 sono diminuiti mediamente del 4 per cento, mentre nello stesso periodo secondo l’Istat i prezzi al consumo per le famiglie sono cresciuti del 15,5 per cento. «Il costo dei libri non è cresciuto, e lo dico avendo interesse a sostenere il contrario» dice Edoardo Scioscia, uno dei soci fondatori del Libraccio, «sono aumentati gli zaini, le penne, gli astucci, il cosiddetto corredo, ma qui entrano altri fattori, come la moda. Certo, se uno vuole lo zainetto Eastpack lo paga di più. Il problema per noi è l’abolizione dei voucher. La vendita dell’usato scolastico è un lavoro stagionale per cui impieghiamo ogni estate circa 150 studenti-librai».

La stima sulla diminuzione dei costi si basa sui tetti di spesa stabiliti dal Ministero. Oggi sono fissati, mediamente, a 162 euro per ogni anno delle medie e a 236 euro per le superiori. Chi lavora nel settore fa notare che è meno di un caffè al giorno, che peraltro dal 2006 è aumentato del 17,1 per cento. Dice Scioscia: «È molto meno di quanto si spende per le scarpe o per i telefonino». Francesca Picci, portavoce nazionale dell’Unione degli studenti, 30 mila iscritti, la maggiore associazione studentesca italiana con il MSAC dell’Azione cattolica, che ogni anno con i suoi volontari organizza mercatini dell’usato in più di venti città, non è d’accordo: «Spesso non c’è un solo figlio, e siccome i tetti vengono regolarmente sforati si arriva anche a 600 euro». È impossibile quantificare l’entità dello sforamento, ma per legge non potrebbe superare il 10 per cento e dovrebbe essere sempre motivato dal collegio dei docenti e approvato dal consiglio di istituto.

«E poi per imporre i testi nuovi» dice ancora Picci «le case editrici cambiano i titoli e i codici Isbn anche se il contenuto rimane lo stesso. Un esempio è Il Cricco di Teodoro, pubblicato da Zanichelli, che ha cambiato codice e nome in Itinerario nell’arte, ma è lo stesso di prima». Zanichelli risponde citando uno sterminato elenco di aggiornamenti: nuove sezioni, altre opere, itinerari per ogni città, edizioni differenziate a seconda degli indirizzi oltre a Il Museo digitale, una banca dati navigabile di cinquemila opere ad alta definizione con percorsi tematici e video. In generale, per essere messa in commercio a norma di legge, una nuova edizione deve essere rinnovata almeno del 30 per cento.

Il che non significa, naturalmente, che gli aggiornamenti siano indispensabili, né che gli editori non lo facciano anche per guadagnare, ma è una cosa che non tutti accettano. Che i libri e la cultura debbano essere gratuiti è una convinzione profonda, soprattutto se sono per la scuola che secondo la Costituzione dovrebbe essere gratuita e universale. (Per questo lo Stato stanzia circa 100 milioni all’anno per le spese scolastiche delle famiglie più povere). Quanto alle nuove edizioni, il problema è che non sempre le novità sono visibili, anche perché le edizioni digitali, che sono obbligatorie e che devono essere diverse da quelle cartacee, non se le fila quasi nessuno. «Nel digitale è la domanda che manca, non l’offerta» dice Giuseppe Ferrari, direttore editoriale di Zanichelli.

Il programma di digitalizzazione forzata dell’editoria scolastica lanciato da Grillo anni fa – ma magari nel frattempo ha cambiato idea – e annunciata dall’ex ministro Profumo all’epoca del governo Monti è difficile da immaginare in una realtà in cui – dato degli editori confermato dal Libraccio – solo il 10 per cento degli studenti “rompe” i codici che servono ad accedere all’edizione online. La realtà è che la carta non solo ha tenuto, ma ha ribadito la sua importanza, anche in Paesi digitalmente più avanzati dell’Italia. «Il digitale può decollare solo dalla portaerei della carta», dice Ferrari, «ma non è successo. Non significa che non possa aiutare, ma non sostituisce i libri normali». «La scuola non è ancora pronta, per motivi strutturali e per abitudini consolidate degli insegnanti» dice Giuseppe Iannaccone, autore con Roberto Carnero della letteratura di Giunti. «Scrivere un libro di testo non è semplice», dice Iannaccone «si lavora in squadra, con gli autori ci sono un coordinatore, cinque redattori e una decina di consulenti, e bisogna rinunciare a ogni compiacimento accademico e stilistico».

Anche un universo apparentemente immobile come quello della scuola cambia di continuo. Per esempio i libri si stanno spezzando in moduli per alleggerire gli zaini, cosa non sempre attuabile. Ma cambiano anche internamente. Dice Ferrari: «Basta confrontare un libro di dieci anni fa con uno di adesso: oggi i contenuti sono molto più segmentati e differenziati, anche graficamente». Dipende dal fatto che gli studenti hanno meno capacità di concentrarsi? «Forse, ma non riguarda solo gli studenti, tutti oggi siamo più visuali», risponde. Può darsi che dipenda anche da internet, ma la rivoluzione a scuola non passa dal digitale, passa dai Bes – i Bisogni educativi speciali – cioè dall’obbligo per i docenti di personalizzare l’insegnamento per i ragazzi con problemi di apprendimento. «È anche un problema di democrazia» dice Ferrari «fare studiare ragazzi dislessici su libri normali è come farli studiare senza occhiali. Hanno bisogno di mappe ben fatte, esercizi visuali, file audio. Quello di cui ci siamo resi conto è che queste cose non servono solo a loro. Servono a tutti».

L’altro fattore di trasformazione sono gli esami, e in particolare i test Invalsi che dal 2019 si faranno anche in quinta superiore (oggi solo in terza media) e diventeranno pubblici sostituendo, di fatto, il voto di maturità. Della valutazione, che sarà più oggettiva e impersonale, si dovranno fare carico anche i testi. La scuola immobile ha molte correnti su cui i libri galleggiano. Spesso sono troppo seri e noiosi – purtroppo non esistono libri di scuola spiritosi – ma si adattano ai tempi. I loro autori hanno uno strano destino: i loro cognomi a volte si trasformano in libri – «l’Amaldi», «l’Abbagnano», «il Bergamini» – ma in quanto persone devono farsi da parte, diventare strumenti. «Noi non insegniamo a giocare a tennis», mi ha detto Bergamini, il più grande bestsellerista italiano, «noi siamo la racchetta da tennis. Ma è un ruolo importante: la scuola italiana è il luogo dove si forma la cultura che mette insieme le tre cose più importanti per la vita di un uomo: il vero, il bene e il bello». Addirittura “il bello”, gli ho chiesto. «Guardi, con mia moglie Graziella buttiamo via tanti esercizi, e allora ci mettiamo lì e lei mi chiede: “Ma perché questo esercizio l’hai buttato via?”. E io rispondo: “Ma non lo vedi che è brutto?”».

Un articolo di Giacomo Papi - 01 09 2017 - Il venerdì di Repubblica


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Data ultima modifica: 22 settembre 2017