TEATRO A MILANO: COPENAGHEN

CESURA GIADA (LICEO SCIENTIFICO G. ASELLI 2CLIC)

- Un intreccio tra fisica e dialogo, così potremmo definire “Copenaghen”. Sulla scena tre mostri sacri del teatro come Umberto Orsini, Giuliana Lojodice e Massimo Popolizio non potevano far altro che superare a pieni voti l’ardua prova di recitazione davanti ad un Ponchielli gremito. Uno spettacolo che ha però evidenziato svariati difetti nella trama, intricata e assai ingarbugliata. Tra continui salti temporali e svariate ipotesi su cosa possano essersi detti nell’incontro del 1941 a Copenaghen, da qui il titolo dello spettacolo, la sala ha assistito ad un continuo dibattito. I due fisici, Bohr e Heisenberg, si trovano ad esporre le tre teorie principali di come possano essersi svolti i fatti: in primo luogo si pensa che l’allievo Heisenberg si sia recato dal maestro per metterlo in guardia riguardo l’imminente avanzata dei nazisti in Danimarca; una seconda ipotesi riguarda le intenzioni dei nazisti in relazione a come i tedeschi avrebbero utilizzato le scoperte nell’ambito della fisica; come terza ed ultima ipotesi si pensa che Heisenberg abbia volutamente sbagliato le dosi nelle formule per non arrivare alla creazione dell’arma mortale. Queste sono le ipotesi che Frayn, autore della pièce, ha ritenuto più plausibili e quindi degne di essere raccontate. La scenografia che ricordava una vecchia aula scientifica ha avuto l’onore di ospitare un Bohr impeccabile, interpretato come solamente Orsini poteva fare. Orsini che si è calato perfettamente nella parte del professore austero e credibile. Degna di nota è stata anche la prestazione di Giuliana Lojodice, che ha saputo comunque lasciare la propria firma durante lo svolgimento della rappresentazione. Uno spettacolo complesso nella sua semplicità, che dà svariati spunti di riflessione a seconda di ciò che ognuno è riuscito a prendere da tutta la vicenda. Può dunque la fisica essere vista come un metodo per portare a termine la propria idea politica? Questo uno dei molteplici spunti che sono balzati alla mente del pubblico.

COLLA ANDREA (5^A RIM - IIS GHISLERI, CREMONA)

- Un’aula magna di qualche università, di quelle classiche, a semicerchio. Delle lavagne scure, che nel nero della scenografia fanno risaltare formule matematiche e fisiche scritte di un bianco acceso. Uno spettacolo: Copenaghen. Tre attori; tre attori soltanto per poter raccontare la storia di un incontro realmente accaduto: quello fra Niels Bohr (Umberto Orsini) e Werner Heisenberg (Massimo Popolizio), avvenuto nel settembre del lontano 1941, proprio nella capitale danese. Una domanda riecheggia in modo continuativo, quasi assillante nella mente di tutti: quale fu il reale motivo di quell’avvicinamento tra i due scienziati? La fantasia di Michael Frayn, autore del testo successivamente tradotto da Filippo Ottoni e Maria Teresa Petruzzi, ci presenta alcuni scenari: forse al tedesco serviva l’aiuto del mastro danese per portare a termine la bomba atomica; forse, semplicemente voleva riavvicinarsi a lui e tentare di salvarlo dallo sterminio. Certo è che l’autore nasconda dietro a tutto questo pensieri e riflessioni ben più profonde. É un racconto di storie, che come sottili trame si annodano, si intrecciano; i personaggi in questione si presentano a noi come morti, e questo non è che il racconto della vita e dei ricordi dell’uno o dell’altro. Tra loro un’eccezionale Giuliana Lojodice nei panni di Margrethe Bohr, che come un preciso ago di bilancia media le battute e le reazioni dei due interpreti maschili. Questa non è certamente una messinscena di facile interpretazione: le formule fisiche sono innumerevoli e, a primo impatto, potrebbero suscitare noia nello spettatore impreparato in materia. Ma non bisogna lasciarsi ingannare: i protagonisti sono i rapporti umani, non matematici. La scenografia era abbastanza statica, mossa solo dallo spostamento di cinque sedie. Inutile parlare della capacità attoriale degli interpreti: per Orsini e Lojodice, le lodi si sprecano; Popolizio, invece, ha recitato, anche se in maniera egregia, una parte troppo forzata, a tratti pedante. Alla regia di Mauro Avogadro, infiniti complimenti. Nel complesso un ottimo spettacolo, apprezzato dal pubblico che al termine della pièce si è detto soddisfatto.

COPPIARDI PIETRO (2°C LICEO SCIENTIFICO ASELLI)

- Un misto di fisica, filosofia e politica dà origine a Copenaghen, pièce di Michael Frayn. La regia è affidata a Mauro Avogadro, che ambienta lo spettacolo in uno spazio semicircolare a gradoni, che ricorda una vecchia aula di fisica, delimitato da lavagne con formule e calcoli. All’apertura del sipario sono in scena tre persone: Niels Bohr (Umberto Orsini), sua moglie Margrethe (Giuliana Lojodice) e Werner Heisenberg (Massimo Popolizio). Tutti e tre morti, ricordano l’incontro che i due più importanti esponenti della fisica moderna ebbero nel settembre 1941 a Copenaghen, realmente verificatosi il cui contenuto è tuttavia misterioso. In una Danimarca sotto l’occupazione nazista i due si erano probabilmente incontrati per discutere degli sviluppi della bomba atomica. Forse Heisenberg, tedesco, voleva esortare Bohr, ebreo, a cercare protezione dalla deportazione che da lì a poco avrebbe coinvolto la popolazione ebraica danese. Forse il fisico tedesco voleva ottenere informazioni per sviluppare per conto dei nazisti un’arma di distruzione di massa. Forse ha volontariamente sbagliato i calcoli per impedire la realizzazione della bomba. Due caratteri diversi legati da un rapporto di solidarietà e conflittualità al tempo stesso. Margrethe funge invece da ago della bilancia tra i due, è colei che ne scandisce e controlla il confronto non perdendo il suo ruolo di protagonista; inoltre rappresenta una “scusa” per spiegare i ragionamenti in modo che il pubblico possa capirli. L’interrogativo centrale dello spettacolo è se il progresso scientifico possa servire un potere politico. Il dilemma si sposta gradualmente da un piano fisico a uno etico guidando lo spettatore attraverso le varie fasi della rappresentazione. La scena, di per sé statica, è mossa da quattro sedie spostate per il palco, non sufficienti però ad animare l’intera serata, che risulta a tratti monotona. Uno spettacolo tradizionale, forse un po’ “all’antica” che pure non risulta pesante o stucchevole lasciando una piacevole impressione, come testimoniano gli applausi non eccessivi del pubblico.

DE LUCA ALESSANDRO (LICEO SCIENTIFICO ASELLI – 4^B LIC)
- Copenaghen, la città nella quale, nel settembre 1941, il fisico tedesco Werner Heisenberg (Massimo Popolizio) fece visita al suo maestro ebreo Niels Bohr (Umberto Orsini) e a sua moglie, Margrethe (Giuliana Lojodice). Lo spettacolo vuole mostrare alcune ipotesi di cosa i due scienziati si dissero, durante una conversazione che ancora oggi rimane essere un mistero. All’interno di una scenografia molto suggestiva, che cerca di riprodurre l’ambiente di un’aula di fisica universitaria più che di una casa privata, si muovono i tre personaggi, tra domande di interesse personale e ragionamenti matematici, riflessioni e supposizioni di due uomini entrambi coinvolti nella ricerca della bomba nucleare, sebbene su fronti opposti. L’amicizia personale si scontra con l’interesse verso la propria causa e così un piacevole incontro si trasforma in drammatica presa di posizione, ovviamente due posizioni opposte. Da un punto di vista formale, nello spettacolo si alternano due tipologie di scene: quelle concitate dovute ai fervidi ragionamenti matematici e quelle lente, durante le quali si hanno i dialoghi personali e i momenti di vita quotidiana. Le due si susseguono continuamente, spezzettando il ritmo che ora risulta essere molto sostenuto, a tratti euforico, ora malinconico. Inoltre gli stessi attori, essendo tali e non fisici né matematici, hanno talora mostrato alcuni momenti di impaccio proprio in quelle scene veloci, nelle quali ragionamenti e calcoli si inseguono in un turbinio di pensieri, un turbinio che hanno cercato di semplificare con l’eliminazione dei tecnicismi troppo specifici. In contrasto a ciò, la mimica facciale e l’espressività dei gesti appariva ben più naturale in quei momenti che sembravano quasi non essere stati scritti, istintivi, gli unici dove gli attori abbiano con grande verosimiglianza incarnato i personaggi. Scenografia, luci e costumi non sono stati trascurati. I costumi ben studiati erano adeguati al periodo storico della vicenda, mentre la regia attenta e rigorosa ha saputo mettere in luce i vari aspetti della pièce. Lo spettacolo non ha deluso il pubblico, che gremiva il Teatro, catturandone l’attenzione per l’intera durata.

DONNINI REBECCA (4^BLIC LICEO ASELLI)
- Copenaghen andato in scena al Ponchielli il 13 febbraio verte intorno al misterioso incontro avvenuto tra i due fisici Heisenberg (Massimo Popolizio) e Bohr (Umberto Orsini) proprio a Copenaghen, da qui il titolo. La pièce fornisce diverse possibili interpretazioni sui motivi che hanno condotto il tedesco Heisenberg a fare visita al vecchio maestro, per metà ebreo, nella Danimarca occupata dai nazisti. La tecnica narrativa usata è molto efficace e originale: sono infatti i personaggi che, ormai morti, tentano di dare una spiegazione, secondo i propri ricordi e i propri punti di vista, all’incontro, facendo emergere pensieri che a quel tempo erano rimasti nascosti. Nello stesso spettacolo il racconto della visita viene ripetuto tre volte, e ogni volta la scena di Heisenberg che suona alla porta di Bohr prosegue in maniera diversa dalle precedenti. Questa pluralità di interpretazioni può anche essere riferita al principio di indeterminazione di Heisenberg, nominato più volte, secondo cui quando non si osserva una particella essa si trova in tutti i luoghi contemporaneamente. La fisica è al centro di buona parte della rappresentazione sotto forma di spiegazioni sulla fissione nucleare e sulla bomba atomica. Nonostante ciò, però, la messainscena si dimostra piuttosto comprensibile anche grazie alla mediazione di Margrethe (Giuliana Lojodice), moglie di Bohr, riferimenti alla vita di tutti dei tre scienziati. Questo personaggio, intermediario tra i due fisici e gli spettatori, è l’elemento che rende meno statica una narrazione che può apparire un po’ noiosa a causa dell’approfondita contestualizzazione storica, della specificità degli argomenti di fisica e della scenografia fissa, che simula un’aula universitaria con lavagne e il cui unico elemento mobile è dato dalle sedie. Nonostante la scenografia richiami la fisica tramite le formule scritte sulle lavagne, a tratti proiettate, ciò che sembra emergere maggiormente è l’aspetto umano dei personaggi, i loro rapporti a tratti di amicizia, a tratti di contrasto, e l’etica legata alla scienza, che si esprime in questo caso in relazione all’invenzione della bomba atomica.

FERMINI GIACOMO (LICEO SCIENTIFICO G.ASELLI 2^)
- La rappresentazione rievoca gli avvenimenti del 1941, anno in cui il fisico tedesco Heisenberg (Massimo Popolizio) si reca a Copenaghen, occupata dai nazisti, a casa dell’amico Bohr (Umberto Orsini). Perché? I motivi della visita rimangono ancor oggi un mistero, che lo spettacolo cerca di analizzare. Grazie a tre flashback si propongono le ipotesi che possono aver portato il fisico tedesco Heisenberg ad incontrare il suo maestro danese Bohr. Oltre ai due fisici all’incontro è presente Margrethe (Giuliana Lojodice), moglie di Bohr. La donna non sembra apprezzare molto Heisenberg, ebreo, che ha accettato di collaborare con il regime nazista, per portare avanti i suoi studi. Dopo i primi momenti di “ruggine” i due scienziati tornano a trattare animatamente la fisica, loro grande passione comune. Parlano della bomba atomica e dei loro personali calcoli, la donna teme che Heisenberg sfrutti il marito per farsi aiutare a costruire l’ordigno, che sarebbe poi finito nelle mani dei tedeschi. L’interrogativo sul progresso scientifico e le possibili conseguenze è inevitabile e sempre attuale: fin dove è lecito spingersi? Margrethe sottolinea come scienza e politica siano strettamente connesse anche per il periodo storico in cui si svolge la vicenda. L’intreccio narrativo non è semplice ed i salti temporali necessitano di una grande attenzione da parte dello spettatore. La scenografia è statica, a tratti cupa, solo alcune lavagne di sfondo colme di formule di fisica e quattro sedie per i protagonisti a movimentare un poco la scena. L’intensità della narrazione ha fatto si che il pubblico non fosse particolarmente concentrato, o comunque che rimanesse frastornato dal ritmo incalzante e intricato del racconto. Nel complesso però lo spettacolo è stato accolto positivamente per l’intrigante storia e per la bravura degli attori.

FERRARI CHIARA (4B LIC - LICEO SCIENTIFICO ASELLI)
- Cosa è accaduto quella sera di settembre del 1941 tra Niels Bohr e Werner Heisenberg? È questa la domanda che ricorre durante tutto lo spettacolo “Copenaghen” scritto da Michael Frayn, messo in scena per la regia di Mauro Avogadro. Due fisici, maestro e allievo, che la guerra ha posto su due fronti diversi, si incontrano nel settembre del 1941. Fanno una passeggiata che si interrompe dopo dieci minuti. Di che cosa abbiano discusso è ancora un mistero, ma la storia ha formulato varie ipotesi. Ciò che ha fatto il drammaturgo è stato mettere in scena queste supposizioni, unendo efficacemente passato e presente: Bohr, sua moglie Margrethe e Heisenberg, una volta morti, ripercorrono per tre volte quella sera. Sicuramente la fisica ha ricoperto un ruolo importante con continui riferimenti alla fissione e alla creazione della bomba nucleare. Non è quindi uno spettacolo adatto a tutti, ma solo a coloro che hanno qualche conoscenza in merito. Tuttavia la rappresentazione non è basata solo sulla fisica: protagonista è il lato umano dei personaggi, i dubbi nascosti nello scienziato sul punto di scoprire qualcosa che poteva cambiare il mondo. I due fisici non si comportavano solo come maestro e allievo, ma quasi come padre e figlio, tanto che l’uno cercava l’approvazione dell’altro. Preoccupazioni, timori, incertezze risaltavano da uno sfondo in cui tutto appariva razionale. Significanti a tale scopo sono stati i momenti in cui tutto si fermava ed erano le menti dei personaggi a parlare. Necessaria è stata la figura di Margrethe, “ponte” tra palco e spettatori, per riuscire a mantenere l’attenzione del pubblico in uno spettacolo in cui il tema poteva facilmente annoiare. La scenografia, un’aula universitaria, che è anche casa, con lavagne piene di calcoli e quattro sedute, è piuttosto statica: il movimento è dato solo dallo spostamento dei personaggi e delle sedie. La staticità della scena dava l’impressione che tutto si fosse fermato in quel settembre del 1941. La recitazione di Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice, rispettivamente interpreti di Bohr, Heisenberg e Margrethe, è stata sicuramente impeccabile. La contestualizzazione storica iniziale è però risultata troppo lunga. Non è possibile scoprire cosa sia realmente accaduto durante quella passeggiata perché non esiste una sola verità: nulla è assoluto.

GALETTI LORENZO (1A LIC.ASELLI)
- Per quale motivo, nel settembre 1941, il fisico tedesco Werner Heisenberg si recò a Copenaghen in visita al suo maestro Niels Bohr? Perché il fisico danese rientrò in casa furioso subito dopo aver conversato con il suo ex-allievo, annunciandone l’immediata partenza? Nessuno, è stato in grado di chiarire il mistero attorno al quale ruota il dramma Copenaghen di Michael Frayn. Il geniale drammaturgo inglese immagina un incontro-scontro “post-mortem” tra i due luminari, durante il quale, essi dissertano sui dilemmi morali riguardanti la ricerca sulla fissione nucleare e le sue pericolose applicazioni. Frayn spiega che per capire a fondo la sua opera, bisogna azzardare un parallelismo tra il principio di indeterminazione, inventato da Heisenberg, e l’astrattezza del pensiero umano. Il principio fisico introdotto negli anni ’20, dice che è impossibile comprendere con certezza, anche se ci si avvale dei più sofisticati strumenti scientifici, tutto ciò che riguarda il comportamento di un oggetto fisico. Lo stesso si può dire del comportamento umano. Se analizzassimo il cervello dell’uomo con tutta la tecnologia moderna a nostra disposizione, ci troveremmo teoricamente sempre davanti allo stesso limite, chiarisce Frayn. “Come particelle dell’atomo, che si incontrano e si scontrano, i tre personaggi al centro dell’opera cercano di dare un senso alle azioni della loro vita. La visita di Heisenberg aveva lo scopo di convincere il suo maestro a passare tra le fila dei Nazisti, o semplicemente avvertire il collega danese che Hitler stava progettando la costruzione della bomba atomica? Intendeva sabotare il sanguinoso dittatore tedesco, spinto da una scelta morale, o non era riuscito ad avere l’intuizione giusta per costruire il micidiale ordigno? Massimo Popolizio interpreta con grande passione e bravura i dilemmi che attanagliano il fisico tedesco mentre Umberto Orsini riesce magistralmente a esprimere il carattere forte e spigoloso del grande fisico danese. Un plauso alla bravissima “Margrethe Bohr” Giuliana Lojodice, moderatrice pacata e a tratti cinica. La scenografia di Giacomo Andrico è “dark” ed essenziale: pareti nude e grigie e lavagne nere piene di formule che spaventerebbero anche lo studente di fisica più preparato. Lo spettacolo infine ha messo in scena il collegamento tra presente e passato affrontando temi di scottante attualità che riguardano i limiti etici della scienza!!

GIOVANELLI ALESSANDRO (5AS, LICEO SCIENTIFICO M. G. VIDA) - In scena Copenaghen di Michael Frayn, per la regia di Mauro Avogadro. Il teatro si trasforma in una grande aula, su lavagne ricoperte di formule e di numeri si scrive la storia dell’umanità, si mostra come un atomo di uranio possa distruggere la vita di molte persone. Vengono interpretate tre versioni di un incontro tanto misterioso quanto imprevisto per gli stessi protagonisti. Nel settembre del 1941 il fisico Werner Heisenberg (Massimo Popolizio) a Copenaghen rincontra, dopo molti anni, un suo vecchio collaboratore Niels Bohr (Umberto Orsini) e sua moglie Margrethe (Giuliana Lojodice). Il contenuto delle loro conversazioni è tutt’oggi un mistero nella storia della fisica; durante lo spettacolo vengono sostenute diverse ipotesi, rappresentate una di seguito all’altra. Ne risulta una successione di eventi, di date, di riflessioni scientifiche e politiche che investono lo spettatore facendogli comprendere la complessità e la difficoltà di effettuare delle scelte, se possibile, umanamente corrette ma senza rinunciare a dare importanti contributi alla fisica moderna. Il dialogo, dunque, non può che sfociare, come viene rappresentato diverse volte nell’opera teatrale, in aspri diverbi non certo di facile risoluzione, a volte acquietati dalla moglie di Bohr, altre volte rimasti irrisolti e conclusi con l’allontanamento di Heisenberg. I tre personaggi lasciano pochissimi spazio al silenzio, solo per un rapido cambio di scena e poi per il tuono cupissimo creato dall’esplosione della bomba atomica che fa tremare il teatro e colpisce ogni spettatore con un brivido gelido. Massimo Popolizio interpreta un Heisenberg che ha la determinazione, la decisione (pur essendo in sé timoroso di ciò che le sue scelte possono causare) di un figlio e Bohr – Orsini un padre ebreo in cerca di sicurezze, dopo che la Germania nazista non gli promette un futuro. Seppur i personaggi sono interpretatati con intensità, lo spettacolo è completamente apprezzabile specialmente da parte di un pubblico che ben conosce i fatti che Mauro Avogadro mette in scena e richiede una particolare attenzione.

PINI BEATRICE (4°A CAT)
- Una storia surreale. Un ritorno al passato, un incontro-scontro "dopo la morte", una ricerca di un motivo, uno sfogo personale, il dubbio, quasi filosofico, tra etica e scienza. Lo spettacolo "Copenaghen" è tutto questo. Nel settembre del 1941, il fisico tedesco Werner Heisenberg (Massimo Popolizio) si recò a Copenaghen dal suo professore universitario, Niels Bohr (Umberto Orsini) e la moglie Margrethe (Giuliana Lojodice), mentre la capitale danese era occupata dai nazisti e i fisici della comunità internazionale stavano lavorando alla bomba atomica. I due, durante il loro incontro, parlano del passato, di ricordi condivisi, di scoperte maturate insieme dal 1924 (anno del loro primo incontro) fino al 1927. Durante quella visita Heisenberg propone al maestro Bohr di fare una passeggiata insieme, come ai vecchi tempi, ma, dopo solo 10 minuti trascorsi in giardino i due rientrano in casa. Bohr era furioso dopo quella chiaccherata e Heisenberg annuncia la sua partenza. Cos’era successo durante quel colloquio? Lavorando di immaginazione, i protagonisti, sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale e ormai morti, si incontrano, in un’aula universitaria, per chiarire questo mistero. Tra i colori grigi e neri delle lavagne, tra formule di matematica e fisica scritte ovunque, un palco che riprende le gradinate proprio degli atenei, tutto lo spettacolo gira intorno a questo "enigma". Forse Heisenberg voleva convincere il suo maestro a passare tra le file dei nazisti, forse voleva metterlo in guardia sugli studi che Hitler stava commissionando per la costruzione della bomba atomica... In tutta la loro discussione emergono dubbi, debolezze, crisi personali, osservazioni su come la scienza può essere utilizzata anche per fini non etici, contro la morale, contro l’umanità (la bomba atomica avrebbe annientato milioni di persone). Splendida interpretazione, di questo testo difficile, con contenuti e termini anche scientifici, da parte dei tre attori; vestiti in modo sobrio ed elegante, hanno saputo caratterizzare molto bene i loro personaggi, dai dubbi e i rimorsi di Heisenberg, alle reazioni forti e autoritarie del professor Bohr, ai commenti a volte pacati a volte rabbiosi della signora Bohr. Lo spettacolo richiede quindi uno spettatore attento e concentrato, che sappia però anche porsi delle domande sulla moralità della scienza.

VIADANA CHIARA (1^E LIC, LICEO ASELLI)
- Sconvolgendo la comune immagine, un po’ negativa, che abbiamo degli uomini di scienza, che si studiano a scuola, lo spettacolo "Copenhagen" ci fa scoprire il lato umano dei protagonisti. La regia è di Mauro Avogadro, che per la seconda volta porta in giro per i teatri italiani la pièce di Michael Frayn , con un trio di attori particolarmente famoso: Umberto Orsini nel ruolo di Niels Bohr, Massimo Popolizio che interpreta Werner Heisenberg e Giuliana Lojodice che impersona Margrethe, moglie del primo. In una stanza che pare una vecchia aula universitaria, arredata con lavagne piene di quelle formule che proprio i nostri protagonisti scrivevano per la prima volta negli anni della Seconda Guerra Mondiale, questi ultimi si ritrovano da morti per tentare di ricostruire quanto avvenne quella sera del 1941, e, che nessuno di loro sembra ricordare. In una Danimarca sotto l’occupazione nazista, il fisico tedesco Werner Heisenberg si reca in visita a casa di colui che lo ha formato, il grande Niels Bohr, per parlare di qualcosa di cui non si è mai venuti a conoscenza. Le ipotesi accreditate sono tante e tutte riguardanti la creazione della bomba atomica, ci vengono raccontate le tre più eclatanti, tra cui però nessuno dei tre riesce a ricordarne una come vera, e quindi a risolvere il mistero che aleggia sul palco. A farci percepire più vicina la storia, ci pensa Margrethe, che in primo luogo funge da "interprete" nel momento in cui i due personaggi maschili si spingono un po’ in là nell’uso della terminologia specifica della fisica; inoltre la donna con i suoi modi ostili e sospettosi nei confronti di Heisenberg svela il lato più emotivo dei due ricercatori. Molto bravi sono anche i due attori, che rendono perfettamente le sfaccettature caratteriali dei due fisici: da un lato Heisenberg, uno scienziato giovane, competitivo e bramoso di riconoscimenti personali; dall’altro invece Bohr, un uomo anziano, più estroverso e che non ha problemi a condividere i meriti di una scoperta. L’applauso finale, l’unico della serata, conferma il gradimento dello spettacolo, che nel suo evolversi ricorda l’ordine operativo del metodo scientifico.

26 Febbraio 2018 diritto di critica - ww.laprovincia.cr.it


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Data ultima modifica: 22 aprile 2018