MAGGIO A PRATO: i guai sul lavoro di una città simbolo

Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato che la manifestazione nazionale del primo maggio 2018 si svolgerà a Prato. Tema centrale: la sicurezza sul posto di lavoro. A Prato il primo dicembre del 2013 sono morti sette operai cinesi nell’incendio di un capannone affittato da due fratelli italiani a una azienda cinese, Teresa Moda. Ad agosto del 2017 sono morti altri due lavoratori, sempre cinesi, anche in questo caso a causa di un incendio in una casa privata dove però venivano eseguite lavorazioni tessili.

QUI LA CRISI È COMINCIATA NEL 2001. Prato però è anche altro. È una città dove la recessione è iniziata sette anni prima che nel resto del Paese, ossia nel 2001 quando la Cina è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) ed è iniziata la crisi del settore produttivo trainante, cioè il tessile. Oggi, con 20 mila posti di lavoro in meno e timidi accenni di ripresa dopo una periodo devastante, Prato ha un’altra particolarità: è la città con il maggior numero di imprenditori stranieri rispetto al totale.

Nell’ultima tornata elettorale, un po’ a sorpresa, il centrodestra ha superato in volata il Partito democratico, aggiudicandosi sia il seggio del Senato sia quello della Camera in un “fortino” considerato inespugnabile. In particolare la Lega è passata dallo 0,86% del 2013 a oltre il 17%.

«SCELTA PER L’IMPORTANZA INDUSTRIALE». Paolo Bombardieri, segretario organizzativo della Uil, spiega che «la sicurezza riguarda tutti i lavoratori senza distinzioni. È un tema su cui va aumentata la sensibilità a livello generale. Non abbiamo fatto altre valutazioni nella nostra decisione di Prato, che è stata scelta per la sua importanza di distretto industriale».

COME FAR FUNZIONARE QUESTO SISTEMA? Anche se non è intenzione del sindacato affrontare il tema, è chiaro che parlare da un palco di Prato il primo maggio vuol dire anche discutere di come si fa a far funzionare un sistema economico aperto alla concorrenza internazionale e che pone, specie per i lavoratori meno qualificati, dei rischi a causa della concorrenza di manodopera straniera meno sindacalizzata.

A Prato le imprese straniere sono il 27,9% del totale.

L’incidenza di imprese straniere in Italia è pari al 9,5% a livello nazionale. A Prato, però, aumenta fino al 27,9%, la più alta in tutto il Paese. La seconda città in classifica è Trieste con il 16%, poi Firenze con il 15,8%. Tutte le altre sono sotto il 15%. Nella provincia di Prato i residenti stranieri sono 42 mila, la metà cinesi. Senza contare clandestini e non residenti, siamo intorno al 16% della popolazione.

SFRUTTAMENTO DI STRANIERI SOTTOPAGATI. Questi numeri riflettono la trasformazione dell’industria del tessile dopo il 2001: prima la crisi causata dalla caduta delle barriere con la Cina, quindi la “ripartenza” a costi di produzione più bassi, sfruttando in molti casi stranieri disposti a lavorare per più ore a meno soldi in aziende di proprietà di connazionali.

Le imprese italiane sono all’avanguardia sulla sicurezza, mentre quelle straniere stanno sul mercato perché competono sul costo del lavoro

CONFINDUSTRIA PISTOIA

Oggi la parola che va per la maggiore in Confindustria è legalità. Il direttore generale dell’associazione industriali di Pistoia, Marcello Gozzi, dice: «Bene che i sindacati si occupino di sicurezza sul posto di lavoro e tuttavia c’è da distinguere tra imprese “italiane” e altre straniere. Quelle italiane sono all’avanguardia dal punto di vista della sicurezza, mentre altre straniere stanno sul mercato perché competono sul costo del lavoro e quindi risparmiano sulla sicurezza».

«SCALFITA SOLTANTO LA SUPERFICIE». Quindi prosegue: «Sono state fatte iniziative, aumentati i controlli, arruolati più ispettori per monitorare il territorio. Il rischio è che quello che avveniva alla luce del sole adesso venga fatto all’ombra. Mi spiego meglio: che invece di stare nei capannoni, i lavoratori siano impiegati dentro le case. Il problema c’è ed è molto grosso. È stata scalfita solo la superficie, il lavoro di controllo deve essere continuativo nel tempo».

Ci sarebbe anche un tema di integrazione delle aziende nel tessuto nazionale. Ma questo sforzo mostra la corda: a oggi, gli associati cinesi a Confindustria sono solo due. Un progetto lanciato nel 2014 dalle istituzioni e dalle associazione datoriali - "Patto lavoro sicuro" - per portare volontariamente alla fuoriuscita dalla illegalità, parziale o totale, tutte le imprese cinesi ha visto una magra partecipazione: poco più di 200 aziende su 1.400.

RIDOTTI I DORMITORI CLANDESTINI. Più successo ha avuto il piano di controlli straordinari che, con il coordinamento dell’ex sindaco Renzo Berti, ha visto calare drasticamente le irregolarità più gravi e pericolose, dai dormitori clandestini agli impianti elettrici e a gas fuori norma.

Se c’è un tema di rispetto della legalità, allora riguarda tutti: nel 2013 sono stati condannati anche i proprietari italiani del capannone

LORENZO PANCINI, CGIL PISTOIA

Tuttavia, ridurre la sicurezza sul lavoro a una “questione cinese” è un tranello facilmente svelabile anche solo guardando alle sentenze giudiziarie. Come ricordano in Cgil, in relazione alla strage del 2013 sono stati condannati anche i proprietari del capannone, Giacomo e Massimo Pellegrini. Lorenzo Pancini, segretario organizzativo della Cgil di Pistoia, spiega che «se c’è un tema di rispetto della legalità, allora riguarda tutti».

UN "FOSSATO" CI SEPARA DAI CINESI. Al di là della questione legalitaria, il problema rimane un altro. Il sindacato è in difficoltà nel tentativo di portare i lavoratori cinesi dentro il sistema italiano e questo scava un fossato rendendo le aziende irraggiungibili. A oggi gli iscritti di nazionalità cinese alla Cgil di Prato, secondo Pancini, sono una settantina, perlopiù la seconda generazione. «Arrivano da noi attraverso i servizi che offriamo, i patronati, i Caf. Pochi si iscrivono».

Bella iniziativa, ma perché in tanti anni non si è mai riuscito a coinvolgere i lavoratori cinesi nel sindacato? È stato analizzato questo fallimento?

SHI YANG SHI, ATTORE ITALO-CINESE

È tendente al “pessimista costruttivo” sulla possibilità che il primo maggio di Prato sia un punto di svolta Shi Yang Shi, un attore cinese-milanese cresciuto in Italia e che nella città toscana è stato impegnato per sette anni in progetti di integrazione e scambio culturale con un’associazione di teatro indipendente, Compost Prato, dal febbraio 2016 non più attiva.

«NON ABBASSARE LA GUARDIA». Attualmente Yang sta portando in giro per l’Italia uno spettacolo teatrale di cui è protagonista che narra la sua vita di cinese d’Italia - ArleChino: traduttore-traditore di due padroni - e che si chiude proprio raccontando il lutto di Prato, in chiave tragicomica. «Ben venga l’iniziativa dei sindacati, per me è importante che non abbassino la guardia. Tuttavia perché in tanti anni non si è mai riuscito a coinvolgere i lavoratori cinesi nel sindacato? È stato analizzato questo fallimento?».

«COME GLI ITALIANI ANNI 50». Un problema che è anche culturale: «Io temo che media e politica spingano verso gli stereotipi. Non esiste una situazione di schiavitù, ma di auto-sfruttamento in nome dell’etica del sangue e del sudore, per cui gli immigrati cinesi di più basso livello economico giustificano il loro lavoro a cottimo come mezzo per migliorare la loro situazione. Che è la stessa cosa che facevano gli italiani negli Anni 50».

L’attore Shi Yang Shi.

«Allo stesso tempo», continua l’attore, «non c’è solo il nero: la comunità cinese è un indotto che può rendere questa città più ricca e più bella e i cui consumi, certamente, hanno evitato che la crisi del 2008 fosse ancora più pesante di quanto non sia stata, come riconobbero insieme due esponenti politici, di destra e di sinistra, in una simulazione sociologica al Compost intitolata “Via i cinesi da Prato”».

«RISCHIO DI UNO SPETTACOLO TRISTE». Infine un auspicio: «Se non ci si prepara nei mesi prossimi anche sul problema dell’alloggio degli operai, io temo che a questo primo maggio ci saranno i soliti quattro cinesi in uno triste spettacolo di auto-rappresentazione della sinistra. Ben venga la scelta della città per la manifestazione nazionale, ma speriamo ci siano una serie di iniziative prima e dopo perché non sia la solita mancata occasione».

«UNA MANIFESTAZIONE DI INCLUSIONE». In Cgil rispondono che loro ci proveranno. Anzi, si stanno già muovendo appoggiandosi anche a mediatori culturali attivi da tempo sul territorio: «Vogliamo che sia un primo maggio di inclusione». Anche perché, altrimenti, rischia di essere il primo maggio di alcuni lavoratori, quelli italiani, contro gli altri.

Un articolo di Samuele Cafasso - Lettera 43 - 24 03 2018


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Data ultima modifica: 4 maggio 2018