EUROPA: "Perchè il sovranismo non sfonda tra i giovani

Nel 2018, un’indagine del think tank tedesco Tui Stiftung ha provato a rilevare la quota di under 26 favorevoli alla Ue in sette paesi europei: Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Spagna e Regno Unito. L’esito? In caso di referendum sulla permanenza nell’Unione, il 71% degli intervistati si direbbe favorevole all’Europa, in crescita dal 61% registrato nel 2017.

Nel vivo di un annus horribilis per il Vecchio Continente, culminato nell’attentato di Strasburgo, lo scetticismo anti-Ue fatica ad attecchire mano a mano che cala l’età: più si è giovani e più si è inclini a riconoscere i benefici dell’appartenenza al progetto europeo. Anzi, il 37% degli intervistati italiani sostiene che il proprio paese abbia più bisogno della Ue «di quanto la Ue abbia bisogno dell’Italia». A sostenere il contrario è solo il 16% del campione.

La vicinanza all’Europa sembra dipendere soprattutto dalla coincidenza fra gli interessi delle nuove generazioni e i presupposti dell’integrazione comunitaria. Un report di JA Europe, un’organizzazione no profit specializzata in formazione per il lavoro, ha domandato a un campione di 4.500 under 25 da 31 paesi Ue perché l’Europa «contasse per loro». Il risultato è che l’87% vede tra i benefit principali della Ue il diritto a studiare all’estero, l’86% la stabilità e l’assenza di conflitti nei perimetri europei, l’85% il diritto di lavorare all’estero, il 76% il supporto alle regioni povere d’Europa e il 74% la libertà di viaggiare da un paese all’altro senza visti o controlli alla frontiera. Cinque pilastri contestati dall’ondata euroscettica che potrebbe guadagnare un seggio su sette alle prossime elezioni europee.

I benefici evidenziati dai giovani nel report Ja Europea sono, anche, quelli più facili da intravvedere nel funzionamento della macchina comunitaria. L’Unione europea appartiene all’immaginario degli under 30 come l’istituzione che garantisce, con la sua stessa esistenza, fattori che vengono dati per scontati nella propria quotidianità. Si parla di mobilità di studenti e lavoratori, finanziamenti all’occupazione e allo sviluppo sociale e, sullo sfondo, anche un fattore caro alla retorica dei partiti della destra populista: la sicurezza. Sul fronte della mobilità, l’abbattimento delle frontiere interne ha favorito i flussi da un paese all’altro della Ue per ragioni di studio e lavoro.

La Commissione europea stima che il solo pacchetto Erasmus+, evoluzione del programma di mobilità studentesca Erasmus, possa consentire nel periodo 2014-2020 la mobilità di circa 4 milioni di giovani: due milioni di universitari, come nel “vecchio” Erasmus, oltre a 650mila iscritti a programmi di formazione, 800mila fra docenti e ricercatori, 500mila iscritti a programmi di volontariato, 200mila studenti che usufruiscono dello schema di prestiti incluso nel nuovo pacchetto Erasmus e 25mila iscritti a programmi di doppia laurea magistrale.

Spostandosi sui trasferimenti professionali, il report 2018 della Commissione europea sulla mobilità intra-Ue ha registrato un totale di quasi 12 milioni di “migranti” lavorativi nel 2016. Fra le mete privilegiate c’è la Germania, con un rialzo del 250% degli ingressi fra 2009 e 2015. Fra i principali esportatori di lavoratori spicca invece l’Italia, terza dietro a Romania e Polonia con un totale di circa 70-80mila addii solo nel 2015. Il ricambio fra paesi è facilitato anche da Eures, una piattaforma di domanda e offerta di impiego che permette di rintracciare opportunità di lavoro nel perimetro Ue. Nel settembre 2017 si sono contati un totale di 340mila curricula e 5,26 milioni di offerte di lavoro registrate sul portale, in rialzo dai 90mila curricula e 1,6 milioni di posti di lavoro nel 2016.

I finanziamenti dell’Europa

Quanto ai finanziamenti, le spese della Ue circostanziate dal cosiddetto quadro finanziario pluriennale (un bilancio delle spese comunitarie, in genere diluito su sette anni) si concentrano su capitoli di spesa sensibili per le nuove generazioni. Su oltre un trilione di euro messi a budget nel periodo 2014-2020, oltre 513,5 miliardi sono stati investiti nel settore di «crescita intelligente e inclusiva», ripartito fra 142 miliardi di euro investiti in crescita e occupazione e 371,4 miliardi destinati a politiche di coesione sociale, economica e territoriale . È vero che l’Italia risulta nel suo complesso fra i cosiddetti beneficiari netti, il blocco di paesi che versa più contributi di quanti fondi riceva. Ma non va trascurato che la Penisola, come ricorda il Sole 24 Ore, svetta anche in prima fila fra gli “incassatori” nel già citato segmento della crescita intelligente e inclusiva (3 miliardi sui 45 complessivi nel 2017, di cui 1,5 miliardi spesi in crescita e occupazione), oltre a fare incetta di fondi nei due ambiti che infiammano di più i partiti euroscettici: sicurezza (sono andati alla Penisola 321,8 milioni dei 2,6 miliardi investiti dalla Ue) e immigrazione (l’Italia si accaparra 91,1 milioni di euro dei 598,3 milioni del Fami, il Fondo per l’asilo, la migrazione e l’integrazione avviato nel 2014 per la gestione delle politiche di accoglienza).

«Nel bilancio comunitario, le voci dedicate ai giovani sono sempre più corpose - spiega Francesca Fauri, professoressa di Storia economica dell’Europa all’Università di Bologna - C’è attenzione per la categoria anche perché gli sforzi si concentrano su una delle loro principali debolezze, la disoccupazione». Fauri ricorda come l’istituzione del più antico dei fondi strutturali, il Fondo sociale europeo (ratificato dai Trattati di Roma nel 1957), fu il frutto delle insistenze dei negoziatori italiani e venne salutato come un successo italiano in Europa. Poco più di 60 anni dopo, sono le istituzioni Ue che devono incalzare l’Italia e altri paesi a mantenere politiche sostenibili per la crescita e l’occupazione. Nella sua formulazione iniziale, la «manovra del popolo» del governo Lega-Cinque stelle avrebbe scaricato sulle nuove generazioni i costi importanti di due misure (abolizione della riforma Fornero e reddito di cittadinanza, pari a 17 miliardi di euro in due, poi ridimensionati) senza avanzare proposte per il nodo dell’occupazione giovanile. Dopo il tira e molla con Bruxelles l’esborso si è ridotto, ma resta il vuoto di politiche per i giovani. Negli ultimi cinque anni, secondo dati Istat, l’Italia ha perso 156mila persone fra laureati e diplomati. Molti di loro hanno scelto di andare in Europa: cioè all’estero, senza passare per frontiere.

Un articolo de Il Sole24Ore 17 12 2018


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Data ultima modifica: 21 dicembre 2018