Solo i bambini ci salveranno da questo clima...

Nel brutto pasticcio di Foligno gli unici che ne escono davvero bene sono le bambine e i bambini della scuola primaria, che hanno portato alla luce e denunciano con forza un comportamento adulto a loro apparso assurdo e violento, ancor prima che infame e razzista.

Non so cosa abbia spinto davvero il docente precario di Foligno, che insegna nelle ore di “alternativa alla religione cattolica”, a prendere di mira e insultare un bambino perché nero, girare il suo banco in modo provocatorio e costringerlo a non rivolgere gli occhi dove guardavano i suoi compagni. Certo è che ha ferito un bambino che aveva l’unico torto di essere figlio di genitori nigeriani, violando la più elementare delle leggi umane non scritte, che chiede a tutti di il massimo rispetto per l’infanzia. Ciò che ha messo in scena nella sua classe Mauro Bocci, con l’esplicita lingua dei gesti, rappresenta una delle più odiose discriminazioni, che è quella razziale.

Il fatto che abbia giustificato la sua azione come “esperimento didattico” è, per certi versi, ancora più grave. Si possono certamente proporre giochi teatrali di scambio di ruoli e sono decenni che “il teatro dell’oppresso” ci insegna che si possono creare artificialmente situazioni drammatiche, che mirano a tirar fuori ciò che coviamo dentro, per ragionarci su ed essere più consapevoli delle spinte contradditorie che vivono dentro ciascuno di noi.

Ma la regola aurea di quelle sperimentazioni, che l’insegnante folignate sembra abbia copiato malamente da Youtube, hanno come regola aurea il fatto che le “vittime designate” sono consapevoli e informate del gioco che si sta facendo e mai oggetto passivo di violenza gratuita. Con i bambini, inoltre, tutto è più delicato perché, come ben sappiamo, ferite inferte a quell’età lasciano tracce profonde.

Risulta disarmante, allora, la superficialità del maestro che voleva, a suo dire, “suscitare una provocazione”.

Fa pensare, tuttavia, il fatto che abbia parlato di “esperimento sociale”, perché ha evocato inconsapevolmente qualcosa che sta avvenendo davvero in Italia.

Sono molti mesi che il nostro paese è sottoposto a un pressante “esperimento” che consiste nell’iniettare nel corpo sociale dosi massicce di veleno razzista contro gli immigrati e in particolare contro i neri, colpevoli di ogni male. E veniva una certa rabbia, ieri, ascoltare stracciarsi le vesti politici e opinionisti che quotidianamente, da ogni canale, contribuiscono a quest’avvelenamento.

Se c’è un luogo pubblico che quotidianamente cerca di mantenere la rotta contraria, questa è la scuola primaria, dove decine di migliaia di maestre (uso il femminile perché sono in stragrande maggioranza donne), da oltre vent’anni trasformano le loro classi, fortemente disomogenee, in laboratori del futuro attraverso percorsi didattici messi a punto con intelligenza, cura, dedizione e fatica ben poco riconosciuta. Non è un caso se proprio dalla scuola partì lo scorso anno una forte campagna a favore dello Ius soli e ius culturae, perché per la stragrande maggioranza degli insegnanti i bambini, tutti i bambini, sono cittadini con pieni diritti fin da ora, almeno nella scuola.

Lo scorso anno una mia alunna di quinta elementare, al termine di un’appassionata discussione, disse che “dobbiamo avere paura dell’ignoranza”. Mi piacerebbe abitare in un paese capace di ascoltare la saggezza dei bambini.

Articolo pubblicato su “Repubblica” il 23 febbraio 2019

Data ultima modifica: 23 febbraio 2019