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Conseguenza necessaria di questo è che gli italiani non temono e non curano per conto alcuno di essere o parer diversi l’uno dall’altro, e ciascuno dal pubblico, in nessuna cosa e in nessun senso.

Lascio stare che la nazione non avendo centro, non havvi veramente un pubblico italiano; lascio stare la mancanza di teatro nazionale, e quella della letteratura veramente nazionale moderna, la quale presso l’altre nazioni massime in questi ultimi tempi è un grandissimo mezzo e fonte di conformità di opinioni, gusti, costumi, maniere, caratteri individuali, non solo dentro i limiti della nazione stessa, ma tra più nazioni eziandio rispettivamente.

Queste seconde mancanze sono conseguenze necessarie di quella prima, cioè della mancanza di un centro, e di molte altre cagioni. Ma lasciando tutte queste e quelle, e restringendoci alla sola mancanza di società, questa opera naturalmente che in Italia non havvi una maniera, un tuono italiano determinato. Quindi non havvi assolutamente buon tuono, o egli è cosa così vaga, larga e indefinita che lascia quasi interamente in arbitrio di ciascuno il suo modo di procedere in ogni cosa. Ciascuna città italiana non solo, ma ciascun italiano fa tuono a sé.

Non avendovi buon tuono, non possono avervi convenienze di società (bienséances). Mancando queste, e mancando la società stessa, non può avervi gran cura del proprio onore, o l’idea dell’onore e delle particolarità che l’offendono o lo mantengono e vi si conformano, è vaga e niente stringente.

Ciascuno italiano è presso a poco ugualmente onorato e disonorato. Voglio dire che non è nè l’uno e né l’altro, perché non v’ha onore dove non v’ha società stretta, essendo esso totalmente una idea prodotta da questa, e che in questa e per questa sola può sussistere ed essere determinata.

Benché gli italiani, come ho detto, siano incirca al livello delle altre nazioni nella conoscenza generale della realtà delle cose relativamente ai fondamenti dei principi morali, per quanto almen basta a influire e dar norma alla condotta pubblica e privata di ciascheduno; tuttavia è ben certo e da tutti gli stranieri, non meno che da noi conosciuto e consentito che l’Italia in fatto di scienza filosofica e di cognizione matura e profonda dell’uomo e del mondo è incomparabilmente inferiore alla Francia, all’Inghilterra, alla Germania, considerando queste e quelle generalmente.

Ma contuttociò è anche certissimo, benché parrà un paradosso, che se le dette nazioni son più filosofe degli italiani nell’intelletto, gl’italiani nella pratica sono mille volte più filosofi del maggior filosofo che si trovi in qualunque delle dette nazioni.

Primariamente dell’opinione pubblica gli italiani in generale, e parlando massimamente a proporzion degli altri popoli, non ne fanno alcun conto. Corrono e si ripetono tutto giorno cento proverbi in Italia che affermano che non s’ha da por mente a quel che il modo dice o dirà di te, che s’ha da procedere a modo suo non curandosi del giudizio degli altri, e cose tali.

Lungi che gli italiani considerino, come i francesi nella massima delle sventure la perdita o l’alterazione dell’opinion pubblica verso loro, e sieno pronti, come i francesi ben educati, a soffrire e sacrificar qualunque cosa piuttosto che incorrere anche a torto in questo inconveniente; essi non si consolano di cosa alcuna più di leggieri che della perdita eziandio totale (giusta o ingiusta che sia) dell’opinione pubblica, e stimano ben dappoco chi pospone a questo fantasma i suoi interessi e i suoi vantaggi reali (o quelli che così si chiamano nel linguaggio della vita), e chi non si cura d’incorrere per amor di quelli in danni oprivazioni vere, d’astenersi da piaceri ancorché minimi, e cose tali. Insomma niuna cosa, ancorché menomissima, è disposto un italiano di mondo a sacrificare all’opinion pubblica, e questi italiani di mondo che così pensano e operano, sono la più gran parte, anzi tutti quelli che partecipano di quella poca vita che in Italia si trova.

Grazie ad Attilio Paparazzo 28 06 2019

Data ultima modifica: 24 luglio 2019