Sono state queste le parole scritte durante la scorsa notte a Mondovì (CN) sulla porta della casa una volta abitata da Lidia Rolfi, deportata politica e testimone dell’Olocausto. Adesso in quella stessa casa vive il figlio, la cui unica colpa è stata quella di essere intervenuto ieri in un giornale locale riportando le parole della madre accompagnate da una propria riflessione.
Questo accade qualche giorno dopo l’ennesimo episodio in cui l’ex Ministro dell’Interno, nonché Vicepremier, oltrepassa qualsiasi tipo di limite, anche quello previsto dalla legge.
Perché andare a citofonare, in diretta Facebook, a un appartamento privato accusando senza prove l’inquilino di origini straniere di un reato significa legittimare la cultura dell’odio e delle discriminazioni. Significa legittimare il fascismo.
Ed ecco che, infatti, gli episodi di razzismo sono sempre più frequenti.
Ed ecco che sulle porte appaiono scritte antisemite.
Tra meno di 72 ore sarà la Giornata della Memoria e oggi più che mai siamo convinti della fondamentale importanza del ruolo della storia nei luoghi del sapere e nella nostra società intera. Solo attraverso ricordo e consapevolezza possiamo combattere l’odio e l’indifferenza.
Abbiamo bisogno di ricordare.
UDU Unione degli Universitari 24 01 2020
La storia di Lidia Rolfi
Lidia Beccaria Rolfi è nata a Mondovì l’8 Aprile del 1925 in una famiglia di contadini, ultima di cinque fratelli. La sua infanzia è trascorsa serena e, come lei stessa ricorda, imbevuta dalla propaganda fascista.
Lidia frequenta le scuole magistrali ed è l’unica della famiglia a proseguire gli studi. Con la promulgazione delle leggi razziali inizia ad avere i primi dubbi : l’insegnante fa strappare le pagine delle antologie scritte da autori ebrei e impone di ricomprare l’Atlante perché uno dei due autori è ebreo. La situazione precipita : l’anno successivo scoppia la guerra. Lidia accoglie con entusiasmo l’ingresso nel conflitto, ma la guerra mostra presto il suo vero volto.
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