Se la battaglia per i diritti e le tutele sul lavoro era essenziale prima della pandemia, in questi ultimi mesi si è fatta pure una questione di vita o di morte. A mezzo secolo dalla legge che “ha portato la Costituzione nelle fabbriche”, abbiamo chiesto alla Cgil come rilanciare la lotta per garantire a tutti un’occupazione dignitosa e sicura
Cinquanta anni fa la Costituzione “veniva portata nelle fabbriche”. Con l’auspicio di raggiungere tale obiettivo nel 1952 Giuseppe Di Vittorio aveva proposto l’approvazione di uno Statuto dei lavoratori, un testo che rendesse effettive le garanzie relative al lavoro espresse nella Carta fondamentale e sino ad allora rimaste lettera morta. Quella norma arrivò nel 1970.
Era il 20 maggio quando la legge 300, intitolata “Norme sulla tutela e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, veniva pubblicata in Gazzetta. Una legge assolutamente avanzata per l’epoca, con la quale si sottraeva agli imprenditori il controllo assoluto su ciò che accadeva nei luoghi di lavoro, permettendo l’ingresso ai sindacati, impedendo i licenziamenti “per rappresaglia” e disponendo che le assemblee sindacali fossero retribuite e organizzate all’interno di fabbriche e uffici. Con la legge 300 inoltre venivano fissate garanzie per gli infortuni, paletti a difesa della libertà di opinione e tutele rispetto al diritto allo sciopero.
Cosa resta oggi di quello Statuto ? Per prima cosa, non si può non ricordare il suo pesante depotenziamento con la riforma dell’articolo 18 sui licenziamenti illegittimi, prima con la legge Fornero e poi col Jobs act.
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