LA FESTA AMARA DI MEDICI E INFERMIERI

«Un Primo Maggio amaro»

lo definisce Filippo Anelli, presidente della federazione degli Ordini dei medici, chirurghi e odontoiatri. «Non possiamo rimanere indifferenti di fronte ai diritti negati – spiega -. Ai turni massacranti, agli straordinari non retribuiti, alle ferie non concesse, alle maternità procrastinate, alle remunerazioni non commisurate al lavoro. Alle carenze di personale, che costringono ad esempio gli stessi anestesisti ad assistere i malati di Covid e, nel contempo, i pazienti che si sottopongono a interventi chirurgici. Alle carenze nella sicurezza, diritto fondamentale di ogni lavoratore».

Hanno affrontato la prima ondata pandemica con dispositivi di sicurezza scarsi, mancavano i tamponi, mancavano i protocolli per le cure, operavano (e operano) in ospedali che al 50% sono stati costruiti prima degli anni Quaranta, dove è complicato disegnare percorsi separati per sporco-pulito. Così il personale sanitario si è infettato, oltre 400 i decessi tra medici e infermieri. Gli infortuni in sanità nel 2020 sono stati tre volte quelli del 2019 e in tre quarti dei casi hanno riguardato il contagio da Covid, con aumenti del 206% su base annua (dai 27.500 casi del 2019 a 84mila del 2020) con punte superiori al 750% a novembre.

La condizione di partenza era già critica. Spiega Carlo Palermo, segretario nazionale del sindacato dei medici Anaao Assomed: «Bisogna risalire alla crisi finanziaria del 2008 che si è prolungata per un decennio. Dal quarto governo Berlusconi in poi si è ridotto il finanziamento al Servizio sanitario nazionale. In realtà c’è stato un piccolo incremento ogni anno salvo in due casi: l’esecutivo Monti e poi quello Renzi, gli unici che hanno tagliato il fondo (circa 900 milioni Monti, 200 milioni Renzi).

Tutti gli altri, fino al 2019, hanno fatto piccoli incrementi che si sono tradotti in un sottofinanziamento nel pieno di una transizione demografica che, invece, ha fatto crescere i bisogni sanitari».

Dal 2010 al 2019 il fondo è aumentato di 8,8 miliardi ma con un tasso di crescita inferiore a quello inflattivo.

Il risultato è stato un taglio dei posti letto, meno 45mila solo nel pubblico, e in un taglio del personale di 42mila addetti. «Siamo in affanno costante – racconta Palermo – ma già accadeva negli anni passati, con i picchi influenzali che trasformavano le corsie in gironi infernali. Non siamo eroi ma nemmeno martiri. Durante la prima ondata le disposizioni vietavano la quarantena per chi avesse avuto un contatto stretto con un positivo per carenza di personale. Molti si sono autoesiliati dalla famiglia per il timore di contagiarli. Dalla seconda ondata in poi qualcosa è cambiato ma la pressione non è mai calata».

Il Pnrr investe in Sanità: «Ma se lo confrontiamo con il piano che aveva stilato il ministro Speranza la differenza è eclatante – conclude Palermo -.

Per gli ospedali nel Pnrr ci sono 5,6 miliardi, Speranza ne avrebbe voluti 34,4. Nell’ultimo anno i posti di terapia intensiva sono aumentati di 3.500 unità e di 4.225 in sub intensiva ma manca il personale. Gli ospedali hanno bisogno di adeguamenti antisismici e antincendio, solo per questo Speranza prevedeva 14 miliardi, nel Pnrr ce ne sono uno o due.

Le strutture non sono adatte a essere rimodulate per accogliere grandi flussi di malati perciò siamo stati costretti a espellere i pazienti non Covid, centinaia di migliaia di interventi rimandati e così le visite, gli screening oncologici. Ci dobbiamo preparare a una seconda epidemia di malati non Covid. Abbiamo bisogno di ospedali in grado di riarticolarsi in base alle necessità per non dovere mai più espellere chi ha bisogno di cure».

Abbiamo iniziato la pandemia con 5,8 infermieri ogni mille abitanti, la media Ocse è di 8,8; in Germania erano 12,9, in Francia 10,5. Ogni infermiere in Italia seguiva una media di 11 pazienti, il rapporto giusto sarebbe di 1 a 6, in Campania toccava 1 a 17. Il rapporto infermieri – medici era di 1,5 per medico (quando avrebbero dovuto essere 3 a 1).

Alle Camere Speranza ha spiegato:

«Dall’inizio dell’emergenza ad aprile 2021, sono state reclutate 81.236 unità di personale di cui 17.634 a tempo indeterminato. In particolare: 20.192 medici, 32.064 infermieri, più di 15.900 operatori socio-sanitari, oltre a tecnici di radiologia e di laboratorio, assistenti sanitari, biologi».

Carmelo Gagliano (presidente dell’Ordine degli infermieri di Genova e consigliere del comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) spiega:

«Nel settore convenzionato col pubblico troviamo colleghi con differenti contratti e differenti tutele, una pratica decisamente diffusa e troppo variegata.

Con la pandemia gli ospedali hanno fatto un reclutamento importante, i professionisti sono trasmigrati verso il pubblico lasciando scoperto il privato. Ora ci troviamo con strutture per anziani, disabili e cronici sguarnite. Ci vuole più attenzione ai contratti e bisogna portare a compimento i concorsi».

Il rischio è che vadano all’estero, dove trovano condizioni di lavoro migliori: «Gli infermieri italiani sono apprezzati per le competenze cliniche e relazionali. Siamo bravi tecnicamente ma anche nella presa in carico della cura e nell’attenzione alle patologie. Francia, Germania, Belgio, Inghilterra ci cercano».

(Adriana Pollice) Il Manifesto 01 05 2021

Data ultima modifica: 4 maggio 2021