Sesto. la solitudine di una studentessa liceale

“Al mattino mi alzo calcolando giusto il tempo che impiega il computer ad accendersi prima dell’inizio della video-lezione. Dopodiché mi attendono 5 ore di lezione sfiancante con gli occhi puntati verso uno schermo. La tecnologia mi semplifica la didattica, prendere appunti al computer è sicuramente più sbrigativo. Terminata la Dad, mi occupo del pranzo e mi costringo a riposare gli occhi. Ho bisogno almeno di due ore di pausa dalle luci del computer.

Mi alzo, bevo il caffè e via, si riprende.

Accendo di nuovo i miei dispositivi, al fine di sistemare tutti quegli appunti che ho preso frettolosamente. Mi preparo a una verifica, a un’interrogazione, oppure svolgo un compito. Il pomeriggio è lungo, lento, infinito. A volte però non riesco a rimanere concentrata tutto il tempo che sarebbe necessario a completare lo studio giornaliero. Col rischio di prendere brutte valutazioni spesso spengo tutto, stacco la mente e svolgo altre attività.

Negli ultimi tempi mi sono ritrovata frequentemente ad andare a correre. Mi libera. Indosso le cuffiette, metto una canzone che mi rallegri e mi dedico all’attività fisica, fingendo di scappare da tutte quei problemi che mi ingabbiano la mente. Purtroppo ora sono rinchiusa anche fisicamente. Ci ritroviamo a dover compiere delle scelte: o la scuola o il nostro benessere personale.

Tempo fa, la scuola coincideva con il mio benessere personale. Sono sempre stata una persona attenta, puntuale, rigorosa per quanto riguardasse la didattica. A differenza di come può accadere solitamente, mia madre andava dai miei insegnanti a chiedere di abbassarmi i voti, affinché io non mi montassi la testa e perché i professori del successivo ciclo scolastico non avessero aspettative troppo alte nei miei confronti. Ho sempre dato il massimo, non perché avessi alle spalle qualcuno di esigente, ma perché io sono sempre stata molto severa con me stessa. Il punto è che mi sono sempre preoccupata del mio futuro. Ora purtroppo ho anche perso fiducia nelle aspettative che avevo per il mio avvenire.

Pensavo che uscire dalle medie con una valutazione alta sarebbe stato un vantaggio alle superiori. E vorrei ancora una valutazione alta alle superiori, prima del mio ingresso all’Università. E a seguire anche all’Università, prima di entrare nel mondo del lavoro. Ma il punto è: ha più senso? Non so nemmeno cosa mi aspetterà domani, come posso concedermi di fantasticare su quello che voglio fare tra un paio d’anni?

Non mi sono state fornite le prospettive adatte affinché io possa collocarmi nel futuro della società. Io ho sempre messo tutta me stessa anche per rispondere a “due domande” lasciate come compito a casa. Adesso non mi disinteresso completamente dell’argomento trattato. Quando studio per una verifica, mi auguro di raggiungere la sufficienza, solo perché altrimenti dovrei trascinare lo studio per tutta l’estate. Non studio più volentieri. Se mi lasciano un compito, mi irrito. Quello che prima era il mio luogo sicuro, dove sapevo che non avrei avuto avversioni, adesso è il mio incubo.

La sensazione di ansia che mi assale ogni mattina al momento di entrare alla prima video lezione è paralizzante, fa paura. Spesso i miei genitori sono entrambi a lavoro. Così anche mio fratello maggiore. Mentre il piccolino di casa spesso riesce a frequentare in presenza, andando alle elementari.

La mia fascia di età è quella di cui si sono dimenticati. Passo giornate intere da sola. Non so che fare. Mi limito a conseguire i miei doveri, come se fossi una macchina. Quando sono tutti via, quando sono sola, le giornate sono tutte esattamente uguali. A volte non riesco nemmeno ad alzarmi dal letto. Il pensiero di dover fare delle cose che mi rattristano mi trattiene dentro al mio pigiama. Quindi la scuola, la Dad, non è più il mio posto felice. Mi mancano i miei compagni di classe.

Mi mancano le persone che incrociavo per i corridoi. Mi mancano i bidelli con cui chiacchieravo. Mi mancano i professori. Mi manca il calore umano. E non voglio pensare a come sarà nel momento in cui forse ci riconcederanno la possibilità di riavere tutto. Ci arriveremo a quel giorno? In questa situazione c’è chi si è abituato ad essere un automa, e c’è chi forse non si abituerà mai. E sinceramente, non so quale sia il caso peggiore. Ma nel momento in cui ci diranno “liberi tutti”, cosa succederà? Avremo voglia di relazionarci al nuovo mondo che incomberà?

Noi ragazzi siamo rimasti soli. Non possiamo andare a scuola. Non possiamo uscire con gli amici la sera. Non possiamo fare le nostre uscite in compagnia. Non possiamo nemmeno andare a mangiarci una banale pizza tutti insieme. Siamo lontani, siamo distanti. Queste mancanze ci hanno isolato, ci hanno risucchiato via tutta quell’energia che solo noi giovani abbiamo.

C’erano mattine in cui senza un motivo preciso andavo a scuola cantando, con le cuffie nelle orecchie, mentre registravo un audio per farlo sentire alla mia migliore amica, solo per augurarle una bella giornata. Io ero così, ero solare, ero energica. Mettevo vita in tutto quello che facevo. Sono sempre stata sognatrice. Quando parlavo dei miei sogni, come risposta spesso ricevevo: “Ma smettila, sii realista”. Ma io volevo che la realtà fosse più bella di quanto potesse sembrare. I miei sogni ora però si stanno spegnendo.

Hanno saputo spegnere anche l’energia di una ragazza sognatrice come me. Hanno giocato con la mia speranza. Mi hanno detto che a settembre ci sarebbe stato un piano di sicurezza. Ma a ottobre siamo tornati di un gradino più in basso, perché evidentemente le rotelle sotto i banchi, mirare alla scuola del futuro era più importante che pensare alla sicurezza del presente. Con le super chiusure di dicembre si diceva che saremmo ripartiti alla grande a gennaio. Ma anche lì ho dovuto aspettare un mese in più. A febbraio hanno finalmente riaperto. Però ho avuto modo di vedere il mio banco per due settimane, finché non mi hanno chiusa di nuovo a casa. E alla fine sono sempre lì. Alla mia scrivania. Davanti al mio computer. Questi tira e molla non hanno fatto altro che stressarmi, opprimermi psicologicamente.

Di alti e bassi ne ho vissuti tanti. Ma un periodo veramente difficile l’ho avuto quando ho contratto il Covid. Uscirne è stata dura. Si è ammalata anche tutta la mia famiglia. Io sono stata la prima a risultare positiva e l’ultima ad essere negativa. Dopo questa esperienza, che porta più mali psicologici che fisici, ho perso l’appetito. Ho perso all’incirca 8 chili. Litigavo con i miei genitori perché mi dicevano che non mangiavo mai. Forse non riuscivano a rendersi conto del fatto che quella più stanca di tutti era proprio l’unica che rimaneva a casa e non si muoveva dalla scrivania. Ma le reazioni sono state differenti in base al periodo.

Durante il primo lockdown piangevo e mangiavo. Quando ho preso il covid ho sviluppato una sorta di remissione nei confronti del cibo. Adesso ho degli sfoghi cutanei, soffro di attacchi di panico e sono sempre stanca, annoiata, triste, incapace di essere produttiva. Come posso io, in tutto questo marasma emotivo, continuare a sperare? Ho bisogno di una piccola scintilla, ho bisogno di qualcosa che mi riaccenda. Io sono una macchina di emozioni, sono un fuoco che arde e vedermi così mi fa male. Non reagisco più ormai. Sono sola”.

Lettera di una studentessa dell’Istituto Erasmo da Rotterdam Sesto S.G. pubblicata su Sestonotizie.it

Data ultima modifica: 5 maggio 2021