Se si perde loro, i ragazzi più difficili

Se il virus ha contagiato tutti in modo trasversale, i suoi effetti sociali e educativi non sono stati altrettanto democratici. In particolare nella scuola, nonostante gli sforzi e a volte le magnifiche invenzioni di dirigenti, docenti, educatori. Un caso emblematico è quello di Bijay, giovane bengalese, che frequenta la seconda media di una scuola di Napoli e che molto probabilmente sarà bocciato per le troppe assenze in Dad

Se il virus ha contagiato tutti in modo trasversale, i suoi effetti sociali e educativi non sono stati altrettanto democratici. In particolare nella scuola, nonostante gli sforzi e a volte le magnifiche invenzioni di dirigenti, docenti, educatori, a pagare il prezzo più alto della prolungata interruzione della didattica in presenza, sostituita dalla Dad, sono stati i ragazzi e le ragazze più fragili: i figli e le figlie dei poveri e, insieme a loro, le alunne e gli alunni più fragili: bes, con differente abilità, con background migratorio o di recente arrivo.

Un impatto che a Napoli, in molti casi è stato affrontato e arginato, spesso riducendone di molto i danni, grazie agli interventi di contrasto alla povertà educativa e del fallimento formativo promossi dall’Assessorato alla Scuola del Comune di Napoli, in collaborazione con scuole, enti del civismo attivo, operatori culturali e da tutti gli altri interventi presenti in città con uno specifico riferimento ai progetti finanziati da Impresa “Con i bambini”. Un sistema di servizi, interventi e luoghi multidisciplinari e multiprofessionali che ha arginato processi di abbandono in primis stando accanto a centinaia di alunni e alunne che facevano fatica. Raggiungendo tante e tanti che si erano dispersi attraverso un reticolo educativo di prossimità (facendo matematica sulle panchine, italiano nei parchi e giardini, scienze e storia dell’arte in giro per la città), spesso gestito da educatori del privato sociale e dell’associazionismo, ma in collaborazione e coordinamento con le scuole.

Insomma, in questi mesi si sono attivati, nel concreto, patti educativi che hanno dato corpo alla comunità educante. Un lavoro importante, ma non sufficiente. Che ha ridotto i danni, ma non per tutti. Tra questi Bijay, giovane bengalese, che frequenta la seconda media di una scuola di Napoli e che molto probabilmente sarà bocciato per le troppe assenze in Dad.

Bijay è arrivato a 7 anni in Italia ed è stato iscritto per la prima volta a scuola a 10 anni. Ha una famiglia che lo sostiene poco e che probabilmente per il peso di una situazione economica molto precaria non ritiene o non riesce a investire in modo adeguato nel sostegno della carriera scolastica del proprio figlio. Ma al contrario a Bijay piace la scuola. Nel primo quadrimestre ha avuto 9 in matematica e 6 in italiano. Ma poi la Dad è diventata la cornice permanente del fare scuola. Bijay non ha la fibra a casa e per seguire le lezioni ha usato il telefonino. Bijay vive in un "basso" con sole due stanze che condivide con genitori e due fratelli più piccoli. Spesso non ha un luogo suo dove studiare.

Di fronte all’aumentare delle assenze la scuola ha chiesto alle operatrici e alla mediatrice culturale bengalese della cooperativa Dedalus di provare a intervenire. Bijay è stato raggiunto. È stato ritrovato dinanzi ad un negozio gestito da un giovane cinese, a perdere tempo, forse non sapendo che fare del suo tempo, ma con un grande sorriso e una disponibilità immediata a accettare il supporto proposto, timidamente ci dice: "Non mi sono collegato perché avevo vergogna di fare vedere dove vivevo". Tutti hanno applaudito e gioito quando è tornato a scuola prima in Dad e poi presenza. Nell’ultimo mese ha deciso di frequentare anche i percorsi di recupero organizzati nel pomeriggio dalle educatrici e mediatrici del centro interculturale Officine Gomitoli. Continua a essere bravo in matematica, un po’ meno in italiano e fa un po’ di fatica quando deve esporre oralmente le sue competenze. Insomma è tornato a pieno titolo a essere uno studente di seconda media.

Ma non è bastato perché a fine anno scolastico il conteggio delle ore di assenza ha annullato la sua presenza portandolo quasi sicuramente alla bocciatura. Ieri, Bijay era di nuovo seduto davanti al negozio cinese. Sa di essere destinato a ripetere l’anno scolastico e ha cercato, ancora una volta, di nascondere la sua vergogna con il solito sorriso.

E’ stato lui a comunicarlo ai suoi genitori che poco capiscono l’italiano. Tutti lo hanno visto tornare in questi mesi a scuola e sicuramente lo hanno visto i suoi docenti. Tutti lo hanno visto, ma forse nessuno lo ha davvero riconosciuto e guardato. Oggi, l’unica speranza è che in quel sorriso, oltre la vergogna, ci sia anche la voglia di riprovare. Una voglia che sempre e per prima la scuola dovrebbe saper riconoscere e valorizzare (a volte dissodare quanto più schiacciata da quotidiani duri), ma su cui questa volta ha colpevolmente rinunciato a investire. Senza rendersi conto che così facendo ha dismesso il suo ruolo Costituzionale che è quello di mettere tutti e tutte in condizione di accedere con pari opportunità ai propri diritti di cittadinanza, come prima e fondamentale chiave per la concreta rimozione delle disuguaglianze.

Perché, come dice Erri de Luca:

"La scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza. Non aboliva la miseria, però tra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori".

Se la scuola rinuncia a questo, non è scuola.

Un articolo di Ada Boffa e Andrea Morniroli - vita.it

*Cooperativa Dedalus

Data ultima modifica: 30 giugno 2021