LA STORIA DELLA PASTASCIUTTA DEI FRATELLI CERVI

80° Anniversario dalla caduta del regime fascista.

I fascisti odiavano la pasta. E ogni 25 luglio, ormai da 80 anni, in tutta Italia si cucina, si mangia e si celebra la pastasciutta antifascista, per ricordare la fine della dittatura.

I fascisti odiavano la pasta. Spaghetti, tagliatelle e maccheroni finirono al confino come Altiero Spinelli, Antonio Gramsci e Sandro Pertini. Per questo la pastasciutta è antifascista. E ogni 25 luglio, ormai da 80 anni, in Italia si cucina, si mangia e si celebra la prima pastasciutta antifascista, offerta dai sette fratelli Cervi alla comunità di Campegine, a Reggio Emilia, per festeggiare la fine della dittatura fascista e la deposizione di Benito Mussolini, avvenuta in quella stessa data nel 1943.

La famiglia Cervi era una famiglia di contadini benestanti. Il signor Alcide, padre dei sette fratelli, era riuscito ad emanciparsi dalla condizione di mezzadro assieme alla moglie Genoveffa e a prendere un podere in affitto a Gattatico, vicino Campegine, nel 1934. Lì costruirono la loro vita, lavorando la terra assieme a Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore.

Ma i Cervi erano molto più che semplici contadini. Erano antifascisti. “Ero cristiano, ma c’era già in me del socialista”, dice di sé Alcide nel libro I miei sette figli. E questa spinta, assieme all’amore per la letteratura, plasmò l’animo politico dei ragazzi. In principio, il più attivo fu Aldo, che si avvicinò ai comunisti leggendo Karl Marx, Antonio Labriola e Jack London.

In poco tempo, tutta la famiglia si unì attivamente nella lotta al fascismo, attirando attorno a loro altri oppositori del regime e trasformando casa Cervi in una tana di antifascisti. “Decidemmo così che avremmo lavorato, oltre la campagna, anche l’Italia e gli italiani, per toglierci il fascismo e l’ingiustizia” scrive ancora Alcide.

La prima pastasciutta antifascista

Fu quindi naturale e immensa la gioia che li pervase la sera del 25 luglio 1943, quando tornando dai campi scoprirono che il dittatore Mussolini era stato deposto, arrestato e confinato in Abruzzo dalla monarchia sabauda. Era tempo di festeggiare e mettere fine anche a quella fame che il fascismo aveva regalato a tutto il paese per 20 anni.

Prima degli anni Cinquanta e della diffusione della produzione industriale, l’Italia è sempre stato un paese di persone malnutrite e affamate, che mangiavano male e morivano presto. Ma con la dittatura fascista e il suo fallimentare progetto autarchico, la guerra in Etiopia e le sanzioni economiche degli altri paesi, durante il ventennio le cose riuscirono anche a peggiorare.

Gran parte delle persone mangiava solo polenta, a nord, e pane, al sud. Niente pasta, che tra l’altro è molto più nutriente, perché ai fascisti non piaceva. L’apporto calorico medio era bassissimo, l’alimentazione scarsa di proteine e vitamine. Rachitismo e pellagra erano diffusissimi in tutto il paese, in particolare al centro e al nord, mentre al sud imperversava il tracoma. Ne da testimonianza Carlo Levi, che descrive l’alimentazione degli italiani non ricchi come composta di “pan solo tutto l’anno”, a volte con un pomodoro schiacciato sopra o un peperoncino piccante.

Così, è facile immaginare perché i fratelli Cervi decisero di dare una festa e cucinare quintali di pasta al burro e parmigiano per festeggiare la fine del fascismo. Una pastasciutta antifascista, la prima, che venne cucinata a Gattatico e poi trasportata a Campegine. Nel tragitto la pasta divenne completamente scotta e, nel frattempo, gli altri contadini e contadine cominciarono a rubacchiarne un po’ per placare i morsi della fame.

Un’avventura.

Alla fine però, la gran parte del pasto raggiunse sano e salvo la piazza di Campegine, dove la tradizione vuole che un piatto fu offerto anche a un giovane ancora vestito da balilla. Non si sa esattamente se questa mangiata avvenne il 25, il 26 o il 27 luglio, né è chiaro quanta pasta sia stata cucinata. Si dice dai 3 ai 10 quintali, ma ricordando che fu fatta a mano è presumibile scartare le stime più ambiziose. In ogni caso, sono dettagli che interessano poco. Ciò che conta è la celebrazione della comunità, della solidarietà e della fratellanza, in contrapposizione al “canchero fascista”, per citare ancora Alcide.

Epilogo

Ma questa storia, come tutte le storie con i fascisti, ha anche un risvolto tragico. Mussolini fu presto liberato dai nazisti, che lo misero a capo della finta repubblica di Salò, consentendogli di riorganizzare le sue squadracce con quelli che ancora gli erano fedeli. Tra le loro fila anche il giornalista Indro Montanelli e Giorgio Almirante, fondatore del Movimento sociale italiano molto ammirato dall’attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

Così, i riorganizzati fascisti e i loro alleati nazisti continuarono a occupare vaste parti del paese e tra novembre e dicembre del 1943 assaltarono casa Cervi alla ricerca di antifascisti. Li trovarono. Ormai i sette fratelli partecipavano attivamente alla resistenza da mesi, sugli Appennini e nelle valli. Ci fu uno scontro a fuoco ma poi i Cervi si arresero, per salvare la casa. I fascisti la incendiarono in ogni caso.

Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore vengono fucilati. Alcide resta in carcere fino a quando questo non viene bombardato e lui riesce a uscire. Solo una volta tornato a casa scoprirà del martirio dei suoi sette figli. “Quando mi dissero della morte dei miei figli risposi: dopo un raccolto ne viene un altro” spiega Alcide nel suo libro “avevo cresciuto sette figli, adesso bisognava tirare su undici nipoti. Dovevano prendere ognuno il posto dei padri e bisognava insegnare tutto da capo. Erano piccoli, ma io gli insegnai lo stesso”. Alcide morì il 27 marzo del 1970.

Postilla: perché i fascisti odiavano la pastasciutta?

Come insegna il sociologo Marco Cerri nel suo libro La pastasciutta dei Cervi, i motivi sono tre. Il primo riguarda il progetto autarchico, perché la pasta si fa col grano e per raggiungere l’autosufficienza cerealicola bisognava consumare poco grano. Il secondo è propagandistico e nasce dai futuristi. Tommaso Marinetti e gli altri si scagliarono contro la pasta dicendo che rammolliva lo spirito, dava sonnolenza e portava al neutralismo, cioè ad essere contrari alla guerra.

Infine, l’ultimo riguarda la logica del ruralismo fascista, che additava la pasta come una moda importata dall’America. Fino agli anni Trenta del Novecento, la pasta era un alimento consumato quasi esclusivamente a Napoli e praticamente sconosciuto nel resto d’Italia. Furono i migranti tornati dagli Stati Uniti a darle nuova vita, dato che tra le comunità italiane d’oltreoceano era un alimento estremamente diffuso.

Fu quindi il sentimento anti statunitense dei fascisti, unito ai problemi economici e alla propaganda futurista che portarono il regime a combattere una guerra contro la pasta, tanto che nei suoi primi anni il consumo pro capite era di appena 12 chili l’anno, ridotto ai 9 durante la guerra. Mentre già nel 1954 ci fu un balzo a 28 chili l’anno, stabilizzatosi poi agli attuali 23 a testa.

Per questo, ancora oggi, la pastasciutta resta un simbolo dell’antifascismo. E quest’anno, a 80 anni dalla fine della dittatura, il 25 luglio 2023 verranno cucinate 220 pastasciutte antifasciste in tutta Italia, come annuncia l’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Per ricordare i fratelli Cervi, la loro generosità e l’antifascismo su cui si fonda la Repubblica italiana, nonostante qualcuno provi a farcelo dimenticare.

Un articolo di Kevin Carboni 25 luglio 2023

Data ultima modifica: 26 luglio 2023