RECALCATI: "SE C’E’ UN COMPITO DELLA SCUOLA

Il lapsus umiliante di Valditara

di Massimo Recalcati

"Umiliazione", ha detto il ministro dell’Istruzione e del merito, parlando di una via di riscatto per studenti indisciplinati. Per poi correggersi, inutilmente. Possibile si dimentichi che la vocazione fondamentale del lavoro di ogni insegnante procede proprio avversando ogni stigma per dare a ciascuno la possibilità della propria realizzazione?

Le parole hanno un peso. E quelle pronunciate recentemente dal neoministro all’Istruzione Valditara esaltano inequivocabilmente l’umiliazione come pratica pedagogica, come, cito aprendo virgolette, “principio che andrebbe rivalutato come fattore fondamentale per la crescita e la costruzione della personalità”. Le successive rettifiche – non voleva attribuire valore all’”umiliazione” ma all’”umiltà”; “in gioco è l’umiltà contro l’arroganza” – peggiorano, se possibile la sua enunciazione conferendogli il valore di un vero e proprio lapsus.

Devo ricordare che, in psicoanalisi, il lapsus non è mai un semplice errore linguistico, ma ciò che riflette la convinzione più profonda del soggetto che lo pronuncia. Si tratta di prenderne atto: le parole di questo ministro sembrano provenire dal medioevo. Anche laddove, in una replica ospitata ieri da questo giornale, evoca, in modo francamente improprio, l’importanza cristiana dell’umiltà come condizione della salvezza. Ma cosa c’entra con la vocazione laica della Scuola? Cosa c’entra con il suo valore democratico?

Resta che il recupero dell’umiliazione come principio pedagogico è inaccettabile. Non perché non sia fondamentale in ogni processo educativo l’esperienza del limite e del riconoscimento delle proprie responsabilità, ma perché non c’è alcun valore educativo né nell’umiliazione, né nell’imposizione dell’umiltà. Anzi, se c’è un compito etico della Scuola è proprio quella di liberare le vite dei nostri figli dall’esperienza ingiusta dell’umiliazione e di quella dell’umiltà imposta.

Il bullismo di ogni specie ha infatti proprio nell’umiliare e nel costringere la sua vittima ad umiliarsi il suo principio fondamentale. La gogna pubblica non favorisce mai l’assunzione delle proprie responsabilità, ma solo il risentimento rabbioso e l’aggressività se non l’identificazione con una versione solo sadica del potere che tenderà a riprodurre su altri la violenza subita.

Come può un Ministro dell’istruzione generare questi equivoci, fraintendere egli stesso il valore dell’esperienza del limite con l’esaltazione convinta della necessità dell’umiliazione come fattore di formazione della personalità?

L’incontro con il limite non serve ad umiliare la vita, ma a mostrare che è solo grazie a questo incontro che diviene possibile l’esperienza generativa del desiderio. Ecco una parola assente nel discorso pedagogico del nuovo ministro che invece dovrebbe avere lo stesso spazio che viene attribuito a quella di “limite”. Perché se non si tengono in un rapporto stretto la dimensione normativa della legge che impone il senso del limite con quella vitale della trasmissione del desiderio che erotizza il sapere, ogni progetto educativo risulta fallimentare. Non solo.

Nel suo discorso il Ministro ha pure evocato la necessità della stigmatizzazione pubblica per favorire al reo l’assunzione delle proprie responsabilità. Ma non sa che ogni stigmatizzazione genera un’identificazione all’escluso che non attiva affatto la spinta al riscatto sociale e culturale ma facilita drammaticamente il rischio definitivo dello sbandamento e della dissipazione? Possibile che si dimentichi che la vocazione fondamentale del lavoro di ogni insegnante procede proprio avversando ogni stigma per dare a ciascuno la possibilità della propria realizzazione particolare?

Non è forse questo il vero contenuto del famigerato “merito”? Dare alla vita dei nostri figli la possibilità di acquisire un valore che prescinda dal sangue o dal colore della pelle, dalla ricchezza o dalla povertà?

L’analfabetismo intellettuale che spinge Valditara a confondere umiliazione-umiltà con educazione appartiene ad una cultura della pedagogia autoritaria che dopo il ’68 pensavamo di avere superato definitivamente. Con un problema aggiuntivo che è necessario sollevare: il “lapsus” del ministro trova purtroppo ancora nella nostra Scuola ferventi adepti.

La severità ottusa è, infatti, l’altra faccia della latitanza educativa e del disimpegno frivolo o dell’arroganza che vorrebbe misconoscere ogni limite di cui il ministro a ragione si lamenta. Sono i due grandi sintomi speculari di cui soffre la nostra Scuola oggi. Da una parte essa vorrebbe preservare la sua antica e nobile reputazione difendendo una autorità in declino con la difesa della disciplina e di un rigore solo formali, dall’altra essa appare rassegnata al venir meno di ogni sua autorevolezza colludendo con la pigrizia di ragazzi che non vogliono più faticare e acconsentendo di fatto alla sua trasformazione in un asilo sociale.

Come trattare, dunque, questo doppio sintomo che affligge la nostra Scuola? Forse era il caso di cominciare dalla scelta di un ministro diverso?

Magari un intellettuale in grado di avere un pensiero profondo sulla scuola e sulla sua vocazione? Perché è solo nella riabilitazione del carisma profondo della figura del “maestro” che possiamo restituire autorevolezza alla nostra Scuola. Ma a questo ministro, mi duole doverlo scrivere, sembra che sfuggano addirittura i fondamentali.

Allora ci sarà il bullismo istituzionalizzato dell’autorità contro il bullismo selvaggio dei negligenti.

Bisognerebbe avere invece il coraggio di volare più in alto. A proposito di patriottismo: non abbiamo forse noi il privilegio di essere seduti sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto nella nostra straordinaria cultura che tutto il mondo ci invidia?

Non rischiamo con il lapsus del ministro di umiliare questa tradizione, le nostre radici, la nostra stessa storia?

Un articolo di Massimo Recalcati - psicoterapeuta - 8 11 2022 La Repubblica

Data ultima modifica: 1 agosto 2023